Matteo Bocelli e il suo primo disco: «Lontano dall’ombra di mio padre»
Il figlio del tenore Andrea, 26 anni, all’esordio con un contratto americano: la nostra intervista
È stata una veloce ascesa quella di Matteo Bocelli. Cresciuto all’ombra del padre Andrea, in pochi anni dal suo esordio discografico il 26enne cantante toscano è arrivato, dopo una manciata di singoli, a pubblicare, con un contratto americano, il suo esordio discografico dal titolo “Matteo” disponibile da oggi. È una strada artistica diversa da quella del padre: nel disco ci sono 12 brani, 14 nella versione deluxe, di cui sette in inglese e cinque in italiano, tutti prodotti e scritti da un team di lavoro con prestigiose firme italiane ed estere, tra cui Ed & Matthew Sheeran.
Qual è lo spirito di questo disco?
«È il frutto di tre anni di lavoro ed è figlio di ciò che ho dentro: penso che si debba fare musica con sincerità e spontaneità. Sono i brani che meglio rappresentano la fase della mia vita, quella che sto vivendo. E ciò mi rende soddisfatto di questo esordio».
In una frase di “Fasi” lei dice: “I consigli di mio padre non li voglio più ascoltare”. Quindi in passato ci sono stati e ora non ne ha più bisogno?
«La canzone fotografa i diversi momenti della mia vita e quanto dico su mio padre è l’attuale situazione. Babbo tende sempre a dire la sua e spera che sia la cosa giusta, ma a 26 anni penso di essere abbastanza maturo e che sia arrivato il momento di ascoltare me stesso. In quella frase c’è uno sfogo, in mezzo a tanti consigli che sono stati dati, da uno che di esperienza ne ha tanta e da cui c’è solo da imparare».
Quanto pesa o aiuta il cognome che porta?
«Lo ammetto, mi ha aiutato molto a trovare un’etichetta e un team di lavoro. Ma pesa anche perché occorre staccarsi dall’idea che per forza facciamo le stesse cose. Non è così e a volte per qualcuno è difficile pensare che siamo diversi. Devo dimostrare chi sono e cosa faccio e conquistare un mio pubblico e non condividere quello di babbo».
Nel disco ha scritto per lei tra gli altri Ed Sheeran. Come nasce la collaborazione?
«Sono un grande fan di Ed Sheeran. L’ho visto in concerto diverse volte e a Milano l’ho anche incontrato. Subito dopo ha collaborato con mio padre su “Perfect Symphony” e spesso era a casa nostra. Dopo aver parlato lui mi ha inviato un po’ di brani tra i quali “Chasing Stars” che mi ha colpito soprattutto per il testo che sembrava scritto per me, quando invece racconta della sua infanzia. Mi ha colpito che entrambi abbiamo avuto un papà che ci ha spinti a seguire la nostra passione per la musica».
Questo disco, che ha una produzione e uno stile internazionale, sembra fatto per il mercato estero. È così?
«Ho un contratto americano e a loro importa il riscontro del lavoro, indipendentemente da dove arriva, ma guardano soprattutto al mercato americano. Io da quando faccio musica penso a fare quello che mi soddisfa e credo in ciò che faccio».
Come lo spiega?
«Non me lo spiego, l’ho domandato anch’io al mio management. È un’incognita, un rischio, però queste sono le sfide che mi piacciono».
È sempre in giro per il mondo, ma vive ancora a Lajatico?
«Certo. Ci sto benissimo, non voglio andarmene».