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De Raffaele scende in campo: l'Italbasket, la cena dei coach, la famiglia e Sanremo. «Il mio futuro? Allenare all’estero»

di Federico Lazzotti
De Raffaele scende in campo: l'Italbasket, la cena dei coach, la famiglia e Sanremo. «Il mio futuro? Allenare all’estero»

Dopo Messina è il tecnico italiano più vincente degli ultimi dieci anni ma è senza squadra: «Sono sempre stato me stesso e non recrimino nulla. Una riunone con moglie e figli per decidere se accettare di aprire le porte di casa a "La Giornata Tipo"»

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Walter De Raffaele, 57 anni da compiere, è l’allenatore italiano di basket più vincente nell’ultimo decennio dopo Ettore Messina: due scudetti, una Coppa Italia e una Fiba Cup, trofei tutti conquistati con Venezia. Dopo la rottura con Tortona, dove è rimasto nell’ultima stagione e mezzo, è partito per il Giappone: «Un grande paese che non conoscevo, un bellissimo viaggio con la mia famiglia e una bella esperienza anche lavorativa». Adesso è tornato nella sua Livorno. «Stiamo finendo il trasloco. Erano molti anni che abitavamo fuori. In questo modo starò più vicino ai miei parenti e agli affetti, a cominciare da mia madre». E intanto si guarda intorno e aspetta la chiamata giusta: «Ho avuto dei contatti, ma per adesso nessun progetto sportivo che mi convincesse. Credo che fino a novembre sarà difficile che si sblocchi qualcosa. Cosa mi piacerebbe? Vorrei provare un’esperienza all’estero», risponde.

Coach, la nazionale Under 18 che vince il bronzo all’Europeo, l’Under 20 campione d’Europa dopo 12 anni e le ragazze che conquistano il terzo posto continentale trent’anni dopo l’ultima medaglia. È l’estate del Rinascimento cestistico azzurro?

«Diciamo questo, soprattutto per quello che riguarda il maschile le annate 2006, 2007 e 2008 hanno grande qualità, il merito è stato quello di farla fruttare al meglio. Si tratta di giocatori di grande talento che il movimento stava aspettando. E pensiamo che all’Under 18 mancavano Suigo e Perez, due giocatori che avrebbero inciso ancora di più. Adesso la cosa importante è capitalizzare questi risultati come avvenuto con l’argento alle Olimpiadi del 2004, altrimenti rischiamo la dispersione. Inoltre questi giocatori devono trovare sbocco nelle proprie squadre di Serie A, sperando che non troppi di loro vadano all’estero».

Chi o cosa di queste tre squadre l’ha impressionata maggiormente, anche guardando al futuro?

«Direi la sfrontatezza di giocatori come Francesco Ferrari (miglior giocatore dell’Europeo Under 20 ndr) , che hanno già un’esperienza maturata in squadre senior e l’hanno messa a frutto. Questo dimostra quanto sia impagabile giocare con continuità in prima squadra. Si tratta di ragazzi che hanno sicurezza, mezzi atletici. Suigo e Garavaglia, ad esempio, sono elementi che presto torneranno utili anche alla nazionale maggiore».

Tra ventidue giorni comincia l’Europeo, dove può arrivare l’Italbasket di Pozzecco nonostante l’ennesima fregatura sportiva con il no di Donte DiVincenzo?

«È una nazionale che ha qualità e motivazioni e che può andare a medaglia. Perché una volta passato il girone è un collettivo che ha dimostrato, in una gara secca, di potersela giocare con tutti. Come dice il presidente Petrucci ciò che traina davvero il movimento è la nazionale maggiore».

L’altra sera su Instagram ha pubblicato una foto a cena, nulla di strano, se non fosse che con lei c’erano altri tre allenatori livornesi di serie A: Ramagli, Bechi e Dell’Agnello?

«E mancava Andrea Diana che non è potuto venire. Sennò saremo stati tutti e cinque. Come ho scritto, tra di noi ci sono rispetto e amicizia. Durante l’anno ci sentiamo per giocatori, problemi tecnici, i figli, l’altra sera ci siamo trovati nella nostra Livorno e abbiamo fatto un sacco di risate».

Dell’Agnello infatti sotto al suo post ha scritto: “Scienza a rondemà (come se piovesse in italiano)”. Un modo autoironico per raccontare la serata...

«E Luca (Bechi ndr) ha aggiunto: “Si vedeva il fumo che saliva”. A parte gli scherzi tra di noi non c’è mai stata competizioni, siamo contenti di portare in giro la scuola livornese. Poi quest’anno io e Ramagli siamo senza squadra, mentre Sandro e Luca hanno roster diversi, abbiamo giocato un sacco su questo».

Parliamo di lei, dispiaciuto per come è finita a Tortona?

«È stata una scelta della società. Quando sono arrivato a metà stagione dell’anno scorso eravamo terzultimi e siamo andati ai playoff: è stato esaltante. Quest’anno abbiamo fatto un grande percorso, fino ai quarti di finale in Coppa. Poi per mille motivi, compresi gli infortuni, non siamo entrati nei playoff e la società ha deciso di rinunciare a quella programmazione triennale che avevamo pianificato. Sono cose che accadono facendo questo mestiere, vanno accettate e sono abbastanza grande per farlo. L’unico rammarico è stato quello di aver spostato la famiglia, ma anche questo fa parte della vita di un professionista».

Adesso cosa sogna? Pozzecco a fine Europeo potrebbe lasciare?

«Allenare la nazionale, per di più del proprio paese, è il desiderio di qualsiasi allenatore. Detto questo qualsiasi nazionale è una grande esperienza a prescindere. Per quella italiana ovviamente non dipende da me. Ora c’è Pozzecco, dopo non lo so. Ma la vedo difficile, anche perché quando ci speravo sono state fatte altre scelte».

A Venezia ha vinto due scudetti, una Coppa Italia e un Fiba Cup, in pochi allenatori hanno il suo palmares, eppure sembra che debba sempre dimostrare qualcosa, è uno stimolo o un peso?

«Alla fine ognuno fa il proprio percorso. Dopo Venezia la scelta di Tortona non è stata per ricominciare da capo, ma per il desiderio di competere anche in Europa in un’altra piazza. Poi le cose sono andate diversamente. Venivo da tredici anni nello stesso posto, sapevo che prima o poi sarebbe finita».

Ha delle recriminazioni?

«No, perché io sono sempre me stesso e in questo ci sono lati negativi e positivi. Insomma non vivo per ciò che gli altri devono pensare. Faccio le scelte per me e per la mia famiglia. È sempre stato così e continuerà ad esserlo. Questo dentro a un percorso privilegiato com’è quello di fare l’allenatore».

La pagina de “La Giornata Tipo” nei mesi scorsi ha fatto un reportage raccontando la sua famiglia: il rapporto con sua moglie e i tre figli che avete adottato. Qual è il commento o l’episodio che le ha fatto più piacere dopo che è stato pubblicato?

«Tutte le scelte che ho fatto le ho fatte con mia moglie e tutta la famiglia. Per me è stata un fortuna. Così quando mi hanno proposto quel taglio intimo, familiare, mi sono confrontato soprattutto con Francesca e i nostri figli. Non volevamo lanciare un messaggio, sia chiaro, ma raccontare quanto fossimo legati al netto del lavoro. Perché non si vive per lavorare, ma il contrario. Quando è stato pubblicato siamo stati raggiunti da un sacco di affetto. Tantissimi persone che si sono ritrovate nella nostra storia. La Giornata Tipo ha raccontato tutto con delicatezza: l’importanza dei mie figli e il ruolo di mia moglie che è la mia fortuna, il mio punto di equilibrio, sempre decisiva in qualsiasi cosa».

Senta, a Venezia è stato per tredici anni, il suo presidente era sindaco Luigi Brugnaro, che effetto le ha fatto vedere la città affittata una settimana per il matrimonio di Jeff Bezos?

«Venezia è una città particolare, straordinaria. Credo che queste cose possono succedere solo in Laguna. L’effetto è stato strano perché è una cosa che non succede tutti i giorni. Ma lì può succedere».

Un’ultima cosa. Ormai è noto che sia un appassionato sfegatato del Festival di Sanremo: dovesse scegliere meglio cantare all’Ariston o vincere un altro scudetto?

«Questa è difficile (ride, poi c’è qualche secondo di silenzio ndr). Viste le mie non capacità canore alla fine direi vincere un altro scudetto. Ma se avessi una pseudo carriera da cantante mi piacerebbe andare a Sanremo, sarebbe un’altra esperienza di vita che non ho mai provato». l

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