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Dallo scontro con Antognoni a Gigi Buffon, i 70 anni di Martina: «Vi racconto il mio calcio»

di Luca Tronchetti
Dallo scontro con Antognoni a Gigi Buffon, i 70 anni di Martina: «Vi racconto il mio calcio»

Il 22 novembre 1981 al comunale di Firenze l’episodio che gli ha cambiato la vita: «Ricevetti 400 lettere in cui mi davano dell’assassino. Simoni il tecnico a cui devo di più»

19 marzo 2023
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Quando un’uscita può cambiarti la vita e trasformare un’onesta carriera in un terribile marchio d’infamia. Quel portiere, agile come un ghepardo nell’immaginario collettivo è rimasto imprigionato nel ruolo del protagonista cattivo di quel drammatico scontro il 22 novembre 1981 al comunale di Firenze col capitano e simbolo viola Giancarlo Antognoni che resta a terra esanime, cianotico, con gli occhi sbarrati. Fortunatamente per le nuove generazioni Silvano Martina – ex bandiera del Genoa, che oggi compie 70 anni – è solo il procuratore del portiere Gianluigi Buffon. «Un fenomeno. Può continuare sino a 50 anni». Sul campionato e la Champions ha le idee chiare: «Il Napoli gioca il miglior calcio e può vincere anche la Coppa dei Campioni. Ma la mia favorita è il Benfica: non ha ancora perso nella fase eliminatoria».

Martina nasce a Sarajevo per volere del nonno che da Chiusaforte (Udine) si stabilisce nell’attuale Bosnia: «Ho iniziato a giocare tardi, a 12 anni e mezzo con mio fratello nelle rappresentative scolastiche. Con noi c’era anche un lungagnone, Mito Dzeko, padre di Edin. Ero il più piccolo e mi mettevano in porta. Ero bravino e m’innamorai del ruolo». Prima del 1967 la famiglia rientra in Italia. Martina va a giocare nella squadra del paese, la Gemonese di Gemona del Friuli. La sua vita cambia quando incontra Antonio “Toni” Bacchetti, dirigente del più importante vivaio regionale, l’Esperia Udine, che nel 1974 si macchierà dell’omicidio di un commerciante che gli doveva dei soldi: «Un personaggio incredibile che ha fatto del bene a tanti ragazzi friulani. Quella squadra era una fucina di campioni. A 16 anni disputai la finale nazionale Allievi con la Marinese di Marina di Pisa dove militava Mattolini, un altro portiere che arrivò in A». Il tempo però non ha mai giocato a suo favore: «Ho frequentato la prima elementare a 14 anni con evidenti imbarazzi perché gli studi fatti nella ex Jugoslavia non erano riconosciuti, sono arrivato a giocare stabilmente in Serie A 29 anni e ho preso il diploma di ragioniere in età matura e attraverso i corsi serali, l’aiuto e la comprensione dei professori». Dall’Inter alla serie C. «Nel settore giovanile nerazzurro mi davano 19mila lire al mese vitto e alloggi inclusi e con quello che ti restava potevi permetterti i soldi per il tram e il cinema». Davanti a lui c’erano due mostri sacri come Lido Vieri e Ivano Bordon: «Il 6 maggio 1973 contro il Palermo a San Siro, con Herrera in tribuna, i due portieri hanno un violento attacco influenzale. Gioco io, vinciamo 3-1 e faccio anche bella figura». Ma quella resta l’unica partita con la Beneamata. Spedito in prestito come un pacco postale: San Benedetto del Tronto, Varese, Brescia: «Entravo in tutte le operazioni di mercato. Il mio obiettivo era guadagnare più soldi possibile e con quelli a fine carriera aprire un bar e comprarmi una casa».

Il tecnico a cui rimane più legato è Gigi Simoni: «Mi sono emozionato quando, leggendo la sua biografia, mi ha inserito fra i tre portieri più forti che ha allenato. Se sono arrivato a giocare stabilmente in A lo devo a questo grande signore . Con lui si era creato un rapporto padre-figlio. Appena tornai a Genoa dal prestito di Varese nell’ambiente non si respirava un’area favorevole nei miei confronti. Fu lui a rassicurarmi: “Dicono che sei una testa matta, ma io ti voglio conoscere e voglio darti fiducia. Alla fine disputai un campionato esaltante e vincemmo il campionato. A Simoni devo moltissimo. Il 21 giugno 1981, giorno della promozione del Grifone, abbracciandomi al triplice fischio mi disse: “Tu sei il mio portiere e non ti cambio neanche per Zoff o Bordon”. Venivo dalla C e a 29 anni diventavo un portiere vero arrivando a disputare 149 presenze nella massima categoria: quella frase non la potrò mai dimenticare. Una persona straordinaria, fondamentale anche dopo quella drammatica partita di Firenze con Antognoni in ospedale. Ero depresso, piangevo, non volevo più giocare. In quel periodo ho ricevuto almeno 400 lettere di tifosi, non solo della Fiorentina, che mi davano dell’assassino. Senza nemmeno accorgermene, ho avuto l’ulcera. Eppure Simoni, nonostante la mia insistenza di far giocare l’altro portiere (Favaro), non ha mai avuto dubbi» .

Antognoni, la Roma, il Toro e la carriera di procuratore. Con Giancarlo Antognoni è rimasta una bella amicizia: «Quell’incidente di gioco mi portò dritto in tribunale. Accusato di lesioni personali volontarie gravi. All’improvviso divenni il capro espiatorio della violenza in campo e sugli spalti senza avere un’attitudine criminale. Sino a quel momento non avevo mai fatto del male a nessuno e sull’involontarietà del fallo ero tranquillo. Un’uscita scomposta, da portiere di pallamano, ma senza cattiveria e volontarietà. Francamente il mio unico pensiero era rivolto alla guarigione di Giancarlo e appena mi fu possibile andai a trovarlo in ospedale. Lui è stato il mio vero grande avvocato difensore. Sin da quando riprese a parlare mi scagionò completamente ripetendo al giudice che io non avevo colpe, che lo scontro era avvenuto perché entrambi seguivamo la traiettoria della palla e lui era leggermente scivolato sul gesso nel tentativo di scavalcarmi e non gli era mai nemmeno sfiorato il dubbio che avessi l’intenzione di fargli male. Antognoni non è stato solo un campione, ma una persona onesta e generosa». Dopo l’esperienza del Genoa lo voleva la Roma reduce dalla sconfitta in Coppa dei Campioni: «Ebbi un colloquio con il ds Nardino Previdi inviato dal presidente Viola. Era tutto fatto quando ricevo un’offerta clamorosa dal Torino di Radice. Ho guadagnato più in granata che nei cinque anni trascorsi in Liguria. L’attaccante più forte che ho incontrato sulla mia strada? Paolino Pulici che aveva un tiro micidiale anche se a me segnavano sempre Cabrini e Platini». La carriera volge al termine e mentre torna a casa in una delle ultime trasferte con il Verona pensa al suo futuro: «Mi balena in mente l’idea di fare il procuratore sportivo. Ho iniziato nel 1990 con quattro ragazzi delle giovanili del Verona (Lamacchi, Piubelli, Sturba e Guerra) e dopo oltre 30 anni sono ancora in questo mondo dorato». 

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