Il Tirreno

Prato

L’intervista

Prato, la stretta sul credito alle imprese: «Penalizzati dalla dimensione delle aziende»

di Paolo Nencioni

	Fabia Romagnoli, presidente di Confindustria Toscana Nord
Fabia Romagnoli, presidente di Confindustria Toscana Nord

Fabia Romagnoli, presidente di Confindustria Toscana Nord, commenta il calo degli affidamenti al distretto tessile (-5,6% nei primi sette mesi dell’anno)

4 MINUTI DI LETTURA





PRATO. La testa e la coda del credito alle imprese in Toscana sono praticamente attaccate. Firenze è seconda, dietro ad Arezzo (e ventiduesimo a livello nazionale), con un aumento dei prestiti del 2,6% tra il 31 dicembre 2024 e il 31 luglio 2025, mentre Prato è ultima in Toscana (e terz’ultima in Italia) con un calo del credito del 5,6%.

La fotografia la scatta l’Ufficio Studi della Cgia di Mestre. Ed è un’immagine abbastanza nitida, almeno a livello nazionale. Dopo 28 mesi consecutivi di caduta verticale degli impieghi bancari alle imprese, infatti, dall’inizio dell’estate c’è stata la tanto attesa inversione di tendenza.

Per comprendere la situazione del credito alle imprese in Toscana è necessario isolare alcuni dati che apparentemente sembrano azzeccarci poco l’uno con l’altro.

Il primo riguarda i numeri delle province di Firenze e Prato. Nel capoluogo toscano e provincia la Camera di Commercio al 4° trimestre 2024 ha visto registrate poco più di 100mila imprese; in provincia di Prato, invece, circa 30mila. Ebbene, al 31 luglio 2025 l’ammontare dei crediti bancari alle imprese fiorentine era di 13 miliardi e 171,30 milioni di euro, contro i 12 miliardi e 842,10 milioni di euro dell’anno prima, una differenza di 329,20 milioni. Molto più contenuti i dati di Prato: 3 miliardi e 325,20 milioni di euro prestati dalle banche alle imprese nel 2025, contro 3 miliardi 137,50 milioni di euro dell’anno prima, 187,70 milioni di euro in meno. Insomma, in proporzione, il dato di Prato è molto più pesante rispetto a quello di Firenze.

Quello che a lungo è stato uno dei punti di forza del distretto tessile di Prato rischia ora di essere un elemento di debolezza. Tante piccole e piccolissime imprese, tutte interconnesse in un sistema che ne faceva una grande fabbrica, dalle filature fino alle rifinizioni. Ora però si scopre che le banche concedono più facilmente il credito alle aziende con più di 20 dipendenti, e questo può essere un guaio. Anche perché Biella, l’altro grande distretto tessile italiano ma con aziende di dimensioni più grandi, nello stesso periodo ha visto crescere i crediti del 3,6%, pari a 50 milioni di euro in più.

Fabia Romagnoli, presidente di Confindustria Toscana Nord, può essere questa la spiegazione del fatto che Prato negli ultimi sette mesi ha visto calare gli affidamenti del 5,7%, pari a 187,7 milioni di euro in meno?

«Sì, questa può essere una spiegazione, tenuto conto che la filiera tessile pratese è fatta di aziende che hanno in media tra i 7 e gli 8 dipendenti. Realtà che in questo momento andrebbero sostenute. La chiusura di un’azienda è sempre un danno. Qui lo è ancora di più perché il distretto è fatto di imprese molto specializzate e spesso basta che ne vengano a mancare un paio per mandare in crisi anche le altre».

Secondo lei c’è una spiegazione alternativa a questa stretta del credito?

«Sì. Questi numeri potrebbero anche essere la conseguenza di minori investimenti, cioè di una minore richiesta di credito da parte delle aziende, in attesa di tempi migliori. Si sono esauriti alcuni incentivi e un calo potrebbe essere fisiologico, ma è chiaro che queste cifre raccontano comunque di una difficoltà».

Come se ne esce? Che cosa possono fare la politica o le associazioni di categoria?

«Ci vorrebbe un rinnovo del fondo di garanzia da parte del governo. Un fondo che esiste ma va rinnovato. Sappiamo bene che la coperta è corta, ma questa esigenza è prioritaria. La cassa integrazione in deroga per le aziende con meno di 15 dipendenti è stata una piccola boccata d’ossigeno, è servita soprattutto per tutelare i lavoratori, ma se non arrivano gli incassi poi il sistema va in crisi ugualmente».

E cosa possono fare le banche?

«Mi verrebbe da dire che devono dare fiducia agli imprenditori che vogliono investire, ma non è sempre così semplice. Ora gli istituti di credito devono rispettare certi paletti imposti dalle norme europee che impediscono di fare certe operazioni. Insomma, c’è meno discrezionalità. Anche se si conosce l’azienda e si ha fiducia nell’imprenditore, in certi casi ci sono limiti insuperabili. Proprio per questo ci sarebbe bisogno dell’intervento del Governo o della Regione con Fidi Toscana per dare garanzie».

In attesa di questi interventi, c’è da preoccuparsi?

«Sappiamo tutti che il momento è difficile, ed è ancora più difficile per il tessile. Dunque sì, un po’ bisogna preoccuparsi». 

Primo piano
Sos sicurezza: il rapporto

Furti in casa, Pisa al primo posto in Italia – I reati diminuiscono ma la paura aumenta: cosa dicono i numeri

di Redazione web