Meteo
Prato, la Cina lo cerca da 36 anni per omicidio: arrestato a Prato ma Pechino non fa nulla e torna libero
L’uomo, accusato di omicidio in patria nel 1989, era stato arrestato a luglio grazie a un ordine Interpol. Ma la mancata richiesta di estradizione dalla Cina lo ha rimesso in libertà
PRATO. Per 36 anni l’hanno cercato in giro per il mondo, poi l’hanno trovato e arrestato, ma quando si è trattato di riportarlo in patria all’improvviso la Cina si è dimenticata di lui. Ecco perché Xie Binglong, un cinese che dice di avere 53 anni, lo scorso mese è potuto uscire come uomo libero dalla cella del carcere della Dogaia dove era stato rinchiuso all’inizio di luglio e ora è di nuovo in circolazione, nonostante sulla sua testa penda la grave accusa di omicidio volontario. È un altro capitolo di una vicenda che era già abbastanza sorprendente e ora lo è anche di più.
L’omicidio per i soldi
Tutto inizia nel lontano 1989, l’anno delle proteste in piazza Tienanmen represse nel sangue dall’Esercito popolare di liberazione, proteste che sono rimaste nella memoria collettiva soprattutto per l’immagine di quel ragazzo che cerca di fermare una colonna di carri armati rifiutando di spostarsi dal loro percorso. Xie Binglong, ammesso che si chiami davvero così, perché di questo non c’è certezza, all’epoca doveva anche lui essere molto giovane ma non era in piazza. La giustizia cinese sostiene che abbia ucciso a coltellate un connazionale per motivi che non hanno nulla a che fare con la politica, questioni di soldi, e che poi sia scappato all’estero. In qualche modo, probabilmente corrompendo qualche funzionario, è riuscito ad arrivare in Europa, poi in Italia, a Prato, e si è rifatto una vita. Ufficialmente lavora come operaio in una delle tante confezioni gestite dai cinesi al Macrolotto.
L'arresto e il ritorno in libertà
Ma a luglio, quando ormai pensava che tutti si fossero dimenticati di lui, ha avuto una brutta sorpresa. La squadra mobile della polizia si è presentata a casa sua e lo ha arrestato per quell’omicidio di 36 anni fa. Nel sistema informatico dell’Interpol c’era ancora un ordine di rintraccio che è stato eseguito. Xie Binglong, assistito dall’avvocato Alessandro Fantappiè, è dunque finito in una cella del carcere della Dogaia e gli atti sono stati trasmessi alla Segreteria affari internazionali della Corte d’appello di Firenze, l’ufficio che si occupa delle questioni che riguardano i rapporti con l’estero, tra cui le estradizioni. Un giudice ha convalidato l’arresto e la segnalazione è stata trasmessa alle autorità cinesi, ma a questo punto il sistema si è inceppato. La Cina infatti aveva un termine perentorio di 30 giorni per notificare alle autorità italiane una richiesta di estradizione. I 30 giorni sono passati e la richiesta non è arrivata. Al giudice non è rimasto che prenderne atto e disporre la scarcerazione dell’indagato. O meglio, del condannato, perché nella segnalazione inviata all’Interpol le autorità cinesi avevano parlato esplicitamente della pena dell’ergastolo, come se l’imputato fosse stato già processato in contumacia e condannato. Al momento non è dato sapere se sia andata proprio così, perché la richiesta di estradizione, come detto, non è stata inviata.
Xie Binglong è tornato in libertà, ma non si può dire che rappresenti una minaccia. Non fa parte della criminalità organizzata e il delitto che dicono abbia commesso 36 anni fa è stato un fatto quasi certamente occasionale.
La storia di questo “cold case” non è finita, perché se uno di questi giorni la Cina si ricordasse ancora di lui potrebbe inviare una richiesta di estradizione e la polizia italiana dovrebbe tornare a cercarlo. Non è detto però che lo trovi, visto che ora lui sa che rischia di passare il resto della vita in carcere.