Il Tirreno

La guerra della logistica

Prato, una crepa nel muro di omertà dei cinesi presi di mira dai connazionali

di Paolo Nencioni

	L'incendio del 15 luglio 2024 al deposito della logistica Xin Shun Da
L'incendio del 15 luglio 2024 al deposito della logistica Xin Shun Da

Alcuni hanno cominciato a parlare indicando i presunti mandanti di pestaggi, tentati omicidi e incendi

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PRATO. Chiamarli “pentiti” sarebbe improprio, ma qualcosa si sta muovendo nella comunità cinese di Prato, finora quasi impenetrabile alle indagini della magistratura su quella che all’inizio è stata chiamata la “guerra delle grucce” e poi è diventata la “guerra della logistica”, in un contesto di sfruttamento selvaggio della manodopera (soprattutto pachistana) e di un’escalation di episodi di violenza che nell’ultimo mese ha riacceso i riflettori sul Far West del Macrolotto industriale.

Parla Chang Zhang Meng, il cinese di 43 anni vivo per miracolo dopo essere stato accoltellato il 6 luglio 2024 da sei connazionali (cinque già condannati) all’interno del locale Number One di via Scarlatti.

Parla Zhang Di, il titolare della logistica Xin Shun Da, oggetto di due attentati incendiari a luglio 2024 e febbraio 2025.

E ancora prima di loro ha parlato Ren Shenlin, il titolare di uno dei tre pronto moda di via Gora del Pero distrutti da un incendio il 12 settembre 2022 all’inizio della “guerra delle grucce”, un contrasto tra produttori di appendiabiti nel quale viene punito chi non si allinea ai prezzi decisi da un “cartello”. Le dichiarazioni dei tre imprenditori sono secretate, ma si sa che almeno due di loro hanno fatto i nomi di chi pensano li voglia distruggere, sul piano imprenditoriale ma forse anche su quello fisico. La Procura, guidata da Luca Tescaroli, indaga da più di due anni, ma evidentemente finora non ha trovato sufficienti elementi per esercitare l’azione penale. Anche Ren Shenlin è stato oggetto di due incendi “dimostrativi” a Montemurlo e di un tentato omicidio in un ristorante di Prato prima di vedere bruciare il suo pronto moda nel 2022. Non è una sorpresa, dunque, che poi abbia deciso di raccontare quello che sa sulle dinamiche criminali nella comunità cinese. Come lui, anche Chang Zhang Meng (produttore di grucce e già condannato per l’omicidio di un connazionale nel 2006 a San Giuseppe Vesuviano) e Zhang Di (figlio di quello Zhang Naizhong che nel 2018 fu presentato dalla polizia come il “capo dei capi” nell’inchiesta China Truck) sono stati messi con le spalle al muro e ora chiedono alla magistratura di fare giustizia.

Non sono pentiti perché nessuno di loro, a quanto si sa, è accusato di qualcosa. Sono vittime di un attacco a senso unico da parte di un gruppo rivale al quale non è stato ancora dato un nome.

Quella di essere messi con le spalle al muro sembra una costante dei cinesi che parlano. Era nella stessa condizione l’operaio cinese che l’anno scorso, caso più unico che raro all’epoca, decise di denunciare il connazionale e suo datore di lavoro che lo sfruttava. Si è poi scoperto che lui stesso aveva minacciato il padrone reclamando i propri diritti, e per questo era stato messo al bando su Whechat con un messaggio corredato dalla sua foto che intimava agli altri imprenditori di non assumerlo perché era un piantagrane. Insomma gli avevano fatto terra bruciata tutto intorno e non aveva più nulla da perdere.

Ma quella che potrebbe essere la vera svolta è rappresentata da nove operai cinesi che a febbraio hanno deciso di collaborare con la magistratura. Sono alcuni dei lavoratori clandestini che erano impiegati nella stamperia Arte Stampa di via Pistoiese, dove a fine gennaio c’è stato un tentato omicidio e si è scoperta una situazione di sfruttamento generalizzato (su 50 dipendenti solo sei avevano un contratto a tempo pieno, gli altri tutti finti part-time, senza contare i 14 clandestini). Ora i nove che collaborano sono ospiti a Villa del Palco, un immobile di proprietà della Diocesi, e sono stati muniti di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia.

Complessivamente sono 56 gli stranieri che hanno deciso di collaborare con la magistratura, in gran parte pachistani che denunciano condizioni di sfruttamento nelle confezioni e nelle stamperie cinesi. Da qualche anno si sono stufati del sistema 12x7, cioè 12 ore di lavoro al giorno per sette giorni alla settimana, e reclamano l’8x5, sostenuti dal sindacato Sudd Cobas che in aprile ha lanciato per l’appunto la campagna “Primavera 8x5” e ha già strappato sette accordi di regolarizzazione in altrettante piccole aziende cinesi.