Falsi residenti cinesi a Prato, dodicimila euro nascosti dietro un lavabo
Nuovi sviluppi dopo l'arresto di una dipendente del Comune e di altri sette complici. Nei guai anche un interprete cinese spesso utilizzato dalla Procura
(Sopra il video dell'operazione fornito dalla Guardia di Finanza e dalla Polizia municipale).
PRATO. Nell’inchiesta sulle false residenze rilasciate ai cittadini cinesi emergono un mare di soldi, complicità insospettabili e una montagna di pratiche e di nomi da riesaminare per riuscire a comprendere la vera entità di questo connubio del malaffare che vede coinvolti italiani ed orientali.
Quello che è certo è che la procura si è imbattuta in un altro rivolo dei tanti filoni di inchiesta che negli ultimi anni hanno messo a nudo quel mondo parallelo che circonda la comunità orientale, sfugge alla legge, crea vistose anomalie nella società e dove, tuttavia, la complicità di italiani che hanno ruoli negli enti o istituzioni è fondamentale.
La procura di Prato, col sostituto procuratore Antonio Sangermano, è convinta di aver sgominato la banda che forniva falsi certificati di residenza a cittadini cinesi, e fra le mille sorprese emerge anche una figura, apparentemente, insospettabile: è stato perquisito e poi denunciato, infatti, anche un cittadino cinese spesso utilizzato dalla stessa Procura in qualità di interprete Nei vari atti dell’indagine emergono alcune cifre di soldi in contanti sequestrati durante le varie perquisizioni effettuate nelle residenze degli arrestati. In casa di Irma Porcaro l’ex dipendente del comune di Prato che era il vero punto di riferimento per gli orientali, gli investigatori hanno trovato dodicimila euro in contanti nascosti dietro la parete del lavabo. Mentre in casa di Pan Xiaofei sono stati trovati e sequestrati oltre quattordicimila euro, anche questi in contanti. E non poteva essere altrimenti perché tutto doveva esser a nero, tutto era illegale, e lo sapevano bene gli arrestati che al telefono avevano addirittura imparato a parlare in codice.
Il blitz portato a termine giovedì 5 dicembre ha portato all'arresto di una dipendente del Comune di Prato, Angela Olivieri, 51 anni, addetta al rilascio delle certificazioni di residenza (ora agli arresti domiciliari), insieme ad altre sette persone. Tra queste anche Irma Porcaro, 59 anni, ex dipendente dello stesso Ufficio anagrafe come ausiliaria, considerata la promotrice dell'associazione a delinquere.
Di lei il comandante della municipale Andrea Pasquinelli ha detto che è stata licenziata anni fa per assenteismo. In effetti il suo rapporto di lavoro col Comune si è interrotto il 31 dicembre 2011. Oltre alle due donne, sono finiti agli arresti domiciliari anche Francesco Ludovico Catania, 24 anni, e Luca Romano, 26 anni, entrambi figli di Irma Porcaro. Una terza figlia, Perla Federica Catania, è accusata di aver fatto parte dell'associazione a delinquere ma non è stata raggiunta da misure di custodia. Complessivamente sono 11 le persone per le quali sono state chieste le misure cautelari: sette sono cinesi e quattro gli italiani. I cinesi (quattro in carcere e tre all'obbligo di dimora) sono Xu Yang, 26 anni, Zheng Mingli, 32 anni, Li Fangfang, donna di 27 anni, Zhuge Xinhai, 39 anni, Su Wenhu, 49 anni, Pan Xiaofei, donna di 39 anni, e Yan Weixia, donna di 18 anni, tutti residenti a Prato.
La dipendente dell'Anagrafe faceva parte di una associazione che rilasciava illecitamente certificati di residenza a immigrati provenienti dalla Cina. Contestualmente agli otto arresti, centinaia di militari della Guardia di Finanza, coordinati dalla procura di Prato, stanno eseguendo oltre 300 perquisizioni.
L'associazione criminale, come detto, era formata da 11 persone. I cittadini cinesi sfruttavano le conoscenze della banda per ottenere almeno 350 certificati per connazionali che entravano in Italia con il visto turistico e poi ottenevano il rinnovo utilizzando delle residenze fittizie. Le indagini degli uomini del colonnello Gino Reolon sono iniziate a marzo, con la collaborazione della polizia municipale e hanno utilizzato riprese video e intercettazioni telefoniche. A segnalare il comportamento anomalo della dipendente è stato il dirigente dell'ufficio Anagrafe, Federico Zuffanelli, che aveva spostato Angela Olivieri ad altre mansioni ma si era accorto che la donna continuava a trattare le pratiche di residenza, ricevendo i cinesi nei locali di piazza Cardinale Niccolò fuori dagli orari d'ufficio.
Da quanto si è potuto capire, la principale preoccupazione dei cinesi che pagavano per ottenere un falso certificato di residenza era quella di non essere rintracciati al loro vero domicilio, che spesso non corrisponde a quello indicato sul certificato.
Secondo gli investigatori, intermediari si rivolgevano al pubblico ufficiale 'infedele', che convogliava le pratiche e riusciva a ottenere illecitamente i certificati per poi consegnarli in cambio di soldi. I cittadini cinesi che a Prato hanno ottenuto illecitamente i documenti di residenza grazie ad un'organizzazione sgominata dalla Gdf, avrebbero pagato una tangente che variava tra gli 800 e i 1.500 euro a persona. I soldi, secondo quanto ricostruito dalle indagini, sarebbero finiti ad alcuni loro connazionali che, dopo aver requisito i passaporti agli immigrati, giravano parte del compenso ai loro soci italiani. In otto mesi l'organizzazione avrebbe guadagnato tra i 180mila e i 450mila euro.
L’indagine, ha spiegato il Comune in una nota, parte da un controllo interno di un dirigente comunale, responsabile dell’Ufficio Anagrafe, che ha denunciato i comportamenti “anomali” di una dipendente addetta allo sportello. In particolare, dopo i primi sospetti, all'impiegata sarebbe stato ordinato di non occuparsi più del rilascio delle certificazioni di residenza, ma inutilmente. A quel punto è partita la segnalazione. Da qui sono scattate le attività di polizia giudiziaria, attraverso riscontri interni al Comune di Prato ad opera della polizia municipale, e lo sviluppo di indagini tecniche da parte della Guardia di finanza, che hanno consentito di individuare un gruppo criminale italo-cinese che sfruttava questo canale fornito dalla dipendente "infedele" dell’Anagrafe per gestire in modo sistematico e completamente inquinato l’affare delle residenze false, richieste da stranieri della comunità cinese da poco arrivati in Italia.
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Sostanzialmente, dall’indagine è emerso che i cinesi da poco arrivati sul territorio italiano (nel corso dell’indagine ne sono stati individuati circa 300) si rivolgevano a sette connazionali, intermediari-collettori, fornendo loro passaporti e permessi di soggiorno e pagando tangenti da 600 a 1.500 euro, necessari per procedere all’iscrizione all’Anagrafe di Prato. I sette cinesi canalizzavano le richieste alla promotrice-capo dell’associazione, una ex dipendente comunale la quale, aiutata dai figli, incaricava un ufficiale dell’Anagrafe di accettare le domande così come presentate. La dipendente comunale evitava sia di attivare la polizia municipale, per i controlli sulla effettività della dimora, sia di far firmare, in tempo reale, le dichiarazioni di residenza presentate, vista l’assenza dei richiedenti all’atto dell’iscrizione, utilizzando indirizzi di comodo (anche 10 persone per ogni recapito ufficiale) e rilasciando certificazioni e carte di identità ai cinesi neo-pratesi. Con questo sistema, in circa otto mesi, l’organizzazione ha realizzato guadagni illeciti stimati tra i 180.000 ed i 450.000 euro, ripartiti in prevalenza tra la promotrice, l’amica-dipendente comunale infedele ed i 7 collettori–intermediari cinesi.
IL COMANDANTE DELLA POLIZIA MUNICIPALE ANDREA PASQUINELLI
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