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Pontedera, licenziata perché trans: «Voglio fare il mio lavoro, quello per il quale mi sono formata»
È un tecnico impiantista, per l’azienda che l’ha assunta non va (più) bene: lei decide di denunciare «per aiutare chi è come me». La nostra intervista
PONTEDERA. «Mi chiamo Jen, sono la ragazza transgender licenziata di cui avete parlato e vorrei raccontare la mia storia». Tre righe per mail seguite da un numero di telefono, meditate per almeno un paio di settimane. Era il 26 marzo, infatti, quando Il Tirreno pubblicò un ampio articolo dedicato all’attività del Centro Voice di Pontedera in cui si raccontava (anche) di una ragazza licenziata in tronco perché transessuale. Diversi giorni di riflessione sofferta perché ancora oggi raccontare di una discriminazione subìta per la propria identità di genere vuol dire abbattere diversi tabù ed è un mettersi in gioco che non privo di rischi. Specie in una realtà piccola come la Valdera. Poi la decisione. Sicura? «Sì. Sento di doverlo fare».
Perché?
«Per tanti motivi. Soprattutto perché spero che la mia decisione possa aiutare altre ragazze che hanno subito una discriminazione simile alla mia a non tenersi tutto dentro. Sa, tante volte capita di leggere un trafiletto sul giornale: “transessuale suicidato”. Ma non si sa mai, i reali motivi...».
Quali sono?
«Lungi da me generalizzare. Personalmente però, ho conosciuto persone che hanno vissuto la mia situazione e ora non ci sono più. E altre che la stanno vivendo e non riescono a uscirne. Nemmeno a raccontarlo. D’altronde togliere il lavoro a una persona è un tentativo di sabotarne la sopravvivenza. Poi per quale motivo? Perché ha scelto di essere sé stessa, anche nella propria identità di genere, senza più nascondersi o mascherarsi? ».
Lei quando è stata licenziata?
«La lettera mi è arrivata a dicembre con licenziamento effettivo da gennaio».
Perché dice che il motivo è la sua identità di genere?
«Sul lavoro ho sempre cercato un po’ di nascondermi, ma a ottobre ho iniziato il mio percorso di riassegnazione di genere al consultorio di Torre del Lago. Mi ero resa conto che il mio aspetto fisico cominciava a cambiare: la barba cominciava a diradarsi e alcuni tratti iniziavano un po’ ad addolcirsi. ..».
Quindi?
«A dicembre ho scritto una mail agli uffici dell’azienda chiedendo una riunione in cui avrei voluto spiegare la mia situazione: lo avevo ritenuto opportuno perché lavoro in un ambiente prevalentemente maschile. Poi a qualche collega con cui avevo un rapporto un po’ più stretto avevo confidato qualcosa...».
Che lavoro fa?
«Tecnico impiantista civile termo-idraulico».
Che cosa le hanno risposto?
«Che non ci sarebbe stata alcuna riunione, senza fornire altre spiegazioni. Poco dopo ho ricevuto una lettera di licenziamento. Formalmente per “giusta causa”».
Nella mail aveva spiegato il motivo per cui chiedeva la riunione?
«No, ero stata generica. Ma il motivo lo sapevano benissimo...».
Perché si era confidata con qualche collega?
«Anche. E perché in passato ero già stata oggetto di quelli che vengono considerati “scherzi”. Anonimi ovviamente».
Ad esempio?
«Quando andavo a prendere i moduli delle bolle di accompagnamento, mi capitava di trovare disegnato su uno un organo sessuale maschile e su un altro quello femminile. Sono “attenzioni” che capitano spesso a chi vive la mia condizione e, purtroppo, si finisce anche col non farvi quasi più caso».
Lavorava da molto per loro?
«Come dipendente da un anno. Ma sono in questo settore da almeno 10 anni e prima avevo fatto già moltissimi lavori per loro come autonomo. Anzi, fu proprio l’azienda a chiedermi di chiudere la partita Iva per trasferirmi in pianta stabile».
Professionalmente la stimavano quindi?
«Penso di sì. Anche se a giudicare da quel che hanno detto dopo alla Cgil non sembrerebbe...».
Che cosa hanno detto?
«Prima hanno provato a giustificarsi parlando di riduzione del personale ma la cosa non reggeva dato che proprio in quel periodo stavano facendo nuove assunzioni. Quindi mi hanno tacciato di “scarsa produttività”».
Ha fatto denuncia?
«La sto facendo. Mi sta seguendo l’avvocato di Voice: ha raccolto quasi tutta la documentazione e a breve penso che la presenterà in tribunale».
Adesso lavora?
«No. Sono disoccupata da più di 3 mesi. Ma spero di riuscire a trovare un’occupazione quanto prima. Soprattutto vorrei continuare a fare il mio lavoro...».
Perché questa precisazione?
«Alcune amiche mi avrebbero consigliato di provare a cercarne uno come barista o cameriera, settori più femminili. Ma io vorrei fare il mio, quello per il quale mi sono formata. Fra l’altro ho anche un sogno che spero di realizzare».
Quale?
«Aprire una cooperativa di servizi, inclusiva ed etica. In cui possano lavorare persone capaci, indipendentemente dalla loro identità di genere, etnica o altro».
A che punto è?
«Ho avviato un campagna di crowfunding. Destinerò a questo progetto il risarcimento che sono certa otterrò dalla causa in tribunale».