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Fallimento della Cdc, cento ex dipendenti attendono ancora i soldi

di Paola Silvi
Fallimento della Cdc, cento ex dipendenti attendono ancora i soldi

Una storia di successi terminata nel 2016 con il fallimento, le manifestazioni e le proteste dei tanti dipendenti rimasti senza lavoro: «Mancano il Tfr, le ferie e i permessi»

27 settembre 2022
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PONTEDERA. Prima era Cdc. Poi divenne Cidici. Un cambio di nome nel tentativo di salvare quella che un tempo era considerata un’eccellenza della Valdera, un’azienda in grado di cavalcare l’onda del mercato dei prodotti tecnologici.

Una storia di successi terminata nel 2016 con il fallimento, le manifestazioni e le proteste dei tanti dipendenti rimasti senza lavoro. Ma il cerchio per cento di loro non si è ancora chiuso. Aspettano da sette anni il pagamento di quanto dovuto.

«Dobbiamo ancora ottenere – spiegano – l’erogazione di quella parte di Tfr, trattamento fine rapporto che spetta alla ditta, le ferie e i permessi maturati prima della chiusura definitiva. Nel 2020 contattammo direttamente l’assistente del curatore fallimentare Stefano Garzella chiedendo notizie, visto che precedentemente ci avevano riferito che avremmo dovuto aspettare la vendita dell’immobile di Roma. Dopo la vendita ci fu risposto che dovevano attendere la sentenza di Cassazione per un ricorso effettuato dall’allora Cassa di Risparmio di Firenze, ora Intesa Sanpaolo. L’anno successivo abbiamo tentato di nuovo di far valere i nostri diritti ma niente è cambiato. Ancora non hanno fissato la data dell’udienza».

Un circolo vizioso, tra rimandi e blocchi burocratici che snerva i dipendenti. Ancora senza i soldi che gli spettano.

Un percorso pieno di ostacoli e di inghippi peggio di un risiko dove le informazioni non arrivano e non si vede un’uscita dal tunnel dell’incertezza.

«Siamo venuti a sapere, fra l’altro – continuano – che è cambiato anche il giudice delegato. Insistiamo nel chiedere aggiornamenti ma la risposta è sempre la stessa: la pratica è ferma perché non c’è la sentenza».

Scoraggiamento e rassegnazione serpeggiano tra i lavoratori. Alla ricerca di un senso che non trovano neppure nei numeri.

«Non è possibile – specificano – che su un fallimento conclusosi con un saldo attivo di tre milioni e vendite di vari immobili e marchi, ci lascino ad aspettare. E tutto a causa di una pratica della banca, di una banca che di certo non ha bisogno di quei soldi». Per i dipendenti invece le necessità ci sono. «A testa, facendo una media, toccherebbero circa 15mila euro. Non sono certo spiccioli. La situazione è scandalosa, non ce la facciamo più. Ci obbligano a stare a guardare ma i problemi non si risolvono e rimetterci siamo di nuovo noi, ultimo anello della catena» dicono.

E per l’ennesima volta sono costretti a protestare, per ottenere ciò che gli spetta di diritto. Per mettere la parola fine ad anni travagliati, a una parabola che non trova una fine. 

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