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Il principe sfortunato, 20 anni fa moriva Giovanni Alberto Agnelli

Luca Daddi e Nilo Di Modica
Giovanni Alberto Agnelli con lo zio Gianni
Giovanni Alberto Agnelli con lo zio Gianni

L'anniversario mercoledì 13 dicembre: a Pontedera il giovane imprenditore ha lasciato tanti ricordi. Ecco le testimonianze di un manager, un sindacalista e una ex sindaca che da bambina ne fu compagna di giochi

10 dicembre 2017
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PONTEDERA. Non fu soltanto il delfino di casa Agnelli. No, per Pontedera fu anche altro. Fu l’imprenditore il cui arrivo alla guida della Piaggio coincise con un cambio di prospettiva: stop al progettato trasferimento delle officine meccaniche a Nusco – operazione benedetta dalla politica democristiana della Prima Repubblica –, sì a investimenti nel territorio storico dell’azienda delle due ruote, con grande attenzione all’innovazione e alla ricerca. Ecco, a guardare indietro di vent’anni, Giovanni Alberto Agnelli, figlio di Umberto e Antonella Bechi Piaggio, nipote di Gianni, rappresentò una svolta profonda per la città e la sua industria principe. Dal quel triste 13 dicembre 1997 – mercoledì cade l’anniversario della morte dell’imprenditore 33enne – sono passati quattro lustri, ma se c’è ancora (malgrado la crisi) una forte presenza industriale in Valdera, se Pontedera può vantare i laboratori della Scuola Sant’Anna e incubatori d’impresa riconosciuti per qualità in tutta Italia, ecco se abbiamo tutto questo, la città lo deve anche a quel “principe sfortunato” – come fu definito dai media – che quando morì, stroncato da un tumore, lasciò la moglie, Avery Howe, sposata nel 1996, e la figlia di tre mesi, Virginia Asia. Vent’anni non sono un tempo sufficiente per scrivere la storia, al massimo per una cronaca senza l’assillo dei fatti quotidiani, ma sicuramente sono sufficienti per i ricordi. Abbiamo scelto tre persone le cui vite, in modi assai diversi, si sono intrecciate con quella di Giovannino.
 

Il manager. A ricordare la figura di Giovanni Alberto Agnelli è prima di tutto colui che fu suo stretto collaboratore: il manager pisano Mario Garzella. Fautore in Piaggio della riorganizzazione dello stabilimento secondo il modello della fabbrica integrata, Garzella fu protagonista della stagione di sviluppo dell’azienda, che negli anni Novanta, con Giovannino alla guida e tramontato il progetto della fuga a Nusco, fece investimenti che portarono centinaia di posti di lavoro. «Fu Giovanni Alberto Agnelli a chiamarmi nel 1993, portandomi via da Fiat Avio – ricorda Garzella – Era una persona particolare, speciale, piena di entusiasmo. Vedeva il futuro. Rimanevo stupito quando ero a colloquio con lui che, a differenza di tanti altri, aveva capito come la Piaggio dovesse aggredire il mercato in un’ottica di globalizzazione, innovazione e nuove tecnologie. Tutto ciò rese quell’esperienza e quegli anni vivaci, intraprendenti, anche quando mi chiese di partire per la Cina nel’97, a dirigere lo stabilimento di Foshan; a me, che avevo preso proprio in quegli anni casa a Capannoli e mi ero trasferito in campagna». Anni anche difficili, fatti di lotte per decidere dove tenere la “testa” e il cuore produttivo della Piaggio. Direttore dello sviluppo organizzativo (e quindi del personale) dalla fine del ’93, dal marzo ’95 Garzella fu capo delegazione, rappresentando la Piaggio all’epoca della concertazione. «Agnelli aveva chiaro in testa il fatto che la Piaggio dovesse rimanere a Pontedera. Un tema, quello, che per lui non fu mai in discussione – continua – Ricordo che quell’intera vicenda (la scongiurata fuga a Nusco, ndr) gli servì per mettere in pratica le sue idee di azienda. Proprio in quegli anni vennero sviluppati i tanti progetti che in qualche modo sancirono l’inizio di un nuovo rapporto della Piaggio con la città. Vennero allacciate relazioni fondamentali con il Comune, con l’allora sindaco Enrico Rossi: è lì che nacque la riflessione sui rapporti con la Scuola Sant’Anna di Pisa e su quella parte della Piaggio che si incunea nella città, il cosiddetto “dente”, che oggi ospita biblioteca e altri luoghi importanti di Pontedera. Tutte cose che, quando le vedo, mi fanno pensare a lui. Giovanni Alberto Agnelli morì e lasciò tutti nello sconforto, ma qualcosa di lui è rimasto».

Il sindacalista. All’epoca Luciano Bernardeschi era leader della Fim Cisl: «Quando Agnelli jr arrivò alla Piaggio la differenza con il passato fu evidente, dando a tutti l’impressione che anche la linea dell’azienda sarebbe potuta mutare in meglio. Il progetto di portare le officine a Nusco era stato improvviso, la città per circa due anni rimase appesa a una trattativa serrata. L’azienda voleva avere finanziamenti pubblici per fare investimenti sulle meccaniche da spostare al Sud. Io, insieme alla Fiom e alla Uilm, non firmai. Proprio nel mezzo di quella vertenza, Giovannino arrivò ai vertici della Piaggio. Ebbe sicuramente un ruolo importante nel ricostruire le condizioni per fare investimenti a Pontedera e nel riallacciare rapporti con le istituzioni. La Piaggio all’epoca viveva una congiuntura particolare: la politica dei dazi doganali che aveva protetto i suoi affari dall’aggressione dei giapponesi stava diventando un ricordo. In quegli anni, poi, il Gruppo era andato espandendosi, senza però comprendere pienamente il senso di quelle trasformazioni. Il giovane Agnelli capì per primo che un’azienda, per rimanere grande, deve investire nelle relazioni con il contesto. Fu una battaglia difficile e molti politici nazionali vennero a Pontedera in quel periodo. Alla fine la Valdera fu riconosciuta area di declino industriale e questo fu decisivo per sbloccare finanziamenti. L’accordo arrivò e portò anche assunzioni in fabbrica».

La compagna di giochi. Alessandra Vivaldi, già sindaca Ds a Montopoli, da bambina fu compagna di giochi di Agnelli: «Giovannino aveva un legame particolare con la nonna, Paola Piaggio. Da bambino d’estate veniva a trovarla a Varramista e lei organizzava dei giochi ai quali partecipavano i ragazzi della frazione di Casteldelbosco. Ricordo tanti gelati, e anche tanti tornei di calcio che venivano organizzati all’ombra della villa, con partite tra “quelli della casa”, le famiglie che vivevano nella villa, contro il resto del mondo, ovvero Casteldelbosco. Era diventata una piccola tradizione. La sera, poi, molti restavano per la tombola e altri giochi. Giovannino – prosegue l’ex sindaca – amava quella villa. Qui festeggiò i suoi 18 anni. Mi ricordo, per l’occasione, tutte quelle macchine e persone importanti che attraversavano il paese: Cabrini, Zoff... Vedevamo la Juventus sfrecciare in via Ricavo, dove ora passa la superstrada Firenze-Pisa. La nonna di Giovannino era una che viveva il paese: in chiesa o alla posta era una figura quotidiana. Quand’ero rappresentante di lista alle elezioni, ricordo Giovannino a votare al seggio, prestissimo, era il primo o il secondo della giornata. Negli anni in cui prendeva in mano le sorti della Piaggio, aveva anche puntato sulle cantine di Varramista: quel luogo era nei suoi piani, per un’idea di impresa che dal territorio riceve ma restituisce pure. Cosa che lui fece anche con il terreno dove sorge il campo sportivo, una donazione al Comune. Il campo oggi porta il nome di Giovanni Alberto Agnelli».
 

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