Da Gaza all’Italia, l’infermiere pistoiese che porta via i bimbi dalla Striscia: «Quelle storie ti segnano per sempre»
Famiglie decimate, bambini con ferite di guerra, speranza agli sgoccioli. Il racconto di Nicola Petrucci: “Portiamo in Italia bambini feriti e famiglie distrutte”
PISTOIA Ha ancora davanti agli occhi lo sguardo di quel padre. Sul sedile accanto a lui, durante il volo verso l’Italia, due bambini: il più piccolo con frammenti di schegge conficcati nelle gambe, l’altro con una protesi provvisoria che cercava di sostituire la gamba amputata. «Mi ha raccontato che erano rimasti solo loro», dice Nicola Petrucci, infermiere pistoiese del 118 di Pistoia-Empoli, 39 anni, sindacalista NurSind e coordinatore delle missioni MedEvac. Il suo compito è evacuare i bimbi da Gaza, portarli via dal massacro della Striscia attendendoli di volta in volta da punti diversi: gli aeroporti in Egitto, spesso El Arish, oppure al valico di Rafah. «La famiglia si era rifugiata in un casolare indicato come zona sicura. Lo hanno bombardato. I due bambini si sono salvati perché stavano giocando in cortile. Il padre era a lavorare. Gli altri non ci sono più».
La voce di Petrucci si incrina. È abituato a vedere la sofferenza, la gestisce ogni giorno. Ma questa è diversa. È dolore che non lascia margini, che non si può arginare con un intervento tempestivo o una flebo nel posto giusto. «Sono racconti mille volte più forti di qualsiasi servizio televisivo», dice.
Negli ultimi dodici mesi ha partecipato a due missioni MedEvac, quelle operazioni che portano in Italia malati o feriti dalla Striscia di Gaza. Ad agosto 2024, la prima: «Erano persone malate, non direttamente colpite dalla guerra. Portavano con sé borse improvvisate, qualche vestito, quello che avevano potuto salvare. Ricordo una madre che non smetteva di chiedere se in Italia ci sarebbe stato posto per tutti i suoi figli».
Poi è arrivata la seconda missione. Qui le storie cambiano volto. I bambini evacuati non hanno più bagagli. Non hanno più case. Hanno cicatrici, amputazioni, sguardi vuoti. «Un padre è salito con un sacchetto di carta. Dentro panini, acqua, un portafoto con i documenti e pochi spiccioli. Nient’altro. Aveva perso tutto il resto».
La sensazione, confessa Petrucci, è di fare qualcosa di necessario ma insufficiente. «È una goccia nel mare della sofferenza di un intero popolo. Ma noi siamo orgogliosi di offrire quel poco che possiamo».
Il sindacato degli infermieri rivendica con forza il ruolo di chi si espone in prima linea nelle missioni umanitarie. «Da tre secoli – dice Giampaolo Giannoni, segretario regionale del NurSind – siamo la categoria che più di altre tocca con mano le barbarie della guerra. Bambini feriti, famiglie distrutte, genitori piegati da traumi impossibili da raccontare. È sconfortante vedere riapparire davanti ai nostri occhi immagini che pensavamo di avere consegnato al passato».
La denuncia è esplicita, senza giri di parole. «Quello che accade a Gaza è un genocidio – continua Giannoni – L’immobilismo delle nazioni è inaccettabile. Noi chiediamo un cessate il fuoco immediato. E torniamo a sollecitare un intervento concreto della Regione Toscana, perché si attivino percorsi di accoglienza e cura per i palestinesi, come fu fatto per la popolazione ucraina».
Parole che suonano insieme come rivendicazione e appello, mentre la realtà resta sospesa fra una speranza fragile e una disperazione che sembra non avere fondo. Nel frattempo, Nicola Petrucci prepara la prossima partenza. Sa che incontrerà altri padri, altri bambini, altre storie impossibili da dimenticare. E sa già che, al ritorno, continuerà a chiedersi se quella piccola goccia nel mare della guerra possa davvero fare la differenza.