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Pisa, ora tutti abbracciati alla squadra. E serve anche il figliol prodigo

di Alessandro Agostinelli
Pisa, ora tutti abbracciati alla squadra. E serve anche il figliol prodigo

Il tifo per una squadra di calcio è un fattore identitario di grande rilevanza. Ma non bisogna fare differenze tra chi c’è sempre stato e chi ritorna ora

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Ricordate quest’ora: 18.23. Ne riparleremo dopo. Questa Serie A è stata un’onda lunga, cresciuta nei mesi, durante i quali il Pisa, guidato da Pippo Inzaghi, ha tenuto botta, ha vinto, ha combattuto con tenacia per serrare le fila e sfondare dall’altra parte. E stavolta l’altra parte è la serie A.

Ma il calcio non è soltanto calcio, non è soltanto sport. Il calcio è un universo metaforico dell’umanità, nel bene e nel male. E gli sportivi e i tifosi sono il primo presidio di questo spettacolo agonistico, il carburante che brucia di passione perché la macchina vada avanti spedita. Spesso è l’identità che determina questo sentimento di appartenenza. Ma di quale identità possiamo parlare?

Per esempio, al governo non fanno altro che parlare di identità nazionale, ma non esiste un’identità nazionale unica e certa: le variabili sono molteplici, le sfumature infinite. E non c’è un italiano-tipo, uguale dal Trentino alla Sicilia. Poi però c’è lo sport. Sinner e il tennis che oggi coalizzano la nazione, ma soprattutto il calcio. È il pallone la cosa più semplice da trovare, prenderlo a calci sono lo sfogo e la tecnica più facili da praticare. È la squadra del cuore uno dei sentimenti più puri dell’animo umano. L’appartenenza a una squadra è un fattore identitario enorme. Ma perché l’identità sia appetibile, cioè perché le persone ripongano fiducia in un nome o in un gruppo, serve che il campione o la squadra vincano. Non sempre, ma almeno ogni tanto.

È vero che se si ama una maglia si segue soprattutto nella sconfitta. Certo questo è un grande insegnamento, ma ogni tanto serve una piccola ricompensa, un piccolo premio perché la passione per la propria squadra dia quel minimo di orgoglio necessario a proseguire l’avventura.

Quindi, se non esiste un’identità nazionale unica, esistono però le identità cittadine, il fatto cioè che i pisani si riconoscano nella loro città e nella loro squadra di calcio.

Eccoci al punto. Le città sono organismi complessi e l’appartenenza a un sentimento collettivo è uno stimolo forte per gli individui: slogan ripetuti come preghiere, bandiere e sciarpe come stendardi, tifosi in gruppo come processioni. In poche parole un rito. Una religione. La propria squadra di calcio appartiene a emozioni ancestrali, a una sfera irrazionale che fornisce una positiva idea di appartenenza, banalmente una fede. E nella fede calcistica ci sono fedeli forti e fedeli deboli. Ci sono i tifosi-tifosi che sono i fedeli forti e i tifosi semplici che sono i tifosi deboli. D’ora in avanti sono utili entrambi alla causa del Pisa calcio.

Qualunque sport esprime fattori umani primordiali: la forza, il sacrificio, il clan, la battaglia. Oggi che il Pisa è in serie A serviranno tante facce e tanti cuori per sostenere la squadra. Battagliare in serie A non è semplice, per questo c’è bisogno che tutti diano una mano.

Quindi è giusto rendere omaggio, oltre ai giocatori, anche ai tifosi-tifosi che hanno seguito la squadra in tutti i campionati e in tutte le trasferte, ma adesso c’è bisogno anche del sostegno dei tifosi semplici. Ed è opportuno evitare i commenti tipo: «Quelli non venivano mai allo stadio, vengono solo ora perché siamo in serie A». In serie A c’è bisogno di tutta la città. C’è bisogno anche del figliol prodigo.

Pisa è una città media di respiro internazionale, come poche ce ne sono in Italia. Contiene al suo interno un monumento più famoso della città che lo ospita: la Torre pendente. Un “aggeggio” così enorme e ingombrante che qualche decennio fa alcuni turisti giapponesi arrivarono a Roma e chiesero all’ufficio del turismo quale strada dovessero prendere dalla stazione Termini per andare a visitare la Torre di Pisa…

Oggi, accanto alla Torre, si accosta la squadra di calcio che è arrivata al più importante palcoscenico calcistico nazionale, giocando il campionato attuale con grande carattere. Tifosi e pisani dovranno essere all’altezza di questo scenario. E a me pare che siamo sulla buona strada: 1.300 pisani in trasferta ieri a Bari, e circa 11mila pisani allo stadio a vedere la partita sui grandi schermi. Ma non solo…

Sabato scorso la ressa di persone in via Paparelli era tale che un tizio uscendo con quattro tagliandi in mano ha detto: «Ho camminato sulla gente». Eravamo tutti lì, in attesa del tagliando per vedere Bari-Pisa all’Arena. Poi, alle 18.23, tutti si sono ammutoliti per qualche secondo. Dall’edificio dove i vigili urbani distribuivano i tagliandi è uscita la notizia: «sono finiti». Dopo il silenzio dettato dallo sconforto qualcuno del Comune ha detto: «Calma, ne arrivano altri. Li stanno stampando in tipografia». Se una città ha persone che, all’ora dell’aperitivo del sabato, tornano a lavorare per stampare i tagliandi che permettono ai concittadini di vedere la propria squadra del cuore su un maxischermo, io credo che avremo delle soddisfazioni. E ora che il Pisa ha fatto il miracolo di tornare in serie A camminando sul campo, come qualcuno fece sulle acque, bisogna darci dentro. Ovviamente senza camminare sulla gente…

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