La manovra
Pisa, morì per un intervento rinviato: l’ospedale deve risarcire la famiglia
L’Aoup condannata a pagare quasi 300mila, ci fu un ritardo nella diagnosi
PISA. Un ritardo nella diagnosi che si è trasformato in un ritardo nell’intervento chirurgico. Con il risultato più tragico, la morte di una signora di 81 anni. Ora per quella vicenda avvenuta a inizio aprile del 2016 la figlia della donna riceverà un risarcimento da parte dell’Aoup di quasi 300mila euro, oltre a tre quarti delle spese legali sostenute.
L’azienda ospedaliero-universitaria ha autorizzato il pagamento, rendendo così esecutiva la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Firenze che ha confermato quella del 2022 del giudice di Pisa riconoscendo la responsabilità della struttura sanitaria ma escludendo il risarcimento alla figlia per il danno biologico subito dall’anziana madre.
La signora, sofferente di una malattia degenerativa e di una diverticolite cronica, era stata portata al pronto soccorso di Pisa per fortissimi dolori all’addome e vomito di colore scuro. Gli orari, in questa vicenda, sono fondamentali. La donna entra in ospedale alle 12, 16 e le viene assegnato il codice giallo al triage. L’anamnesi viene raccolta due ore e mezzo più tardi, alle 14, 46 e alle 15 viene eseguita un’ecografia all’addome che evidenzia la presenza di una raccolta fluida vicina al fegato. Devono passare altre tre ore perché alle 18, 12 venga eseguita una Tac all’addome che fa emergere una «peritonite acuta in choc settico» con perforazione dell’intestino. A quel punto viene richiesta la consulenza chirurgica: alla figlia viene detto che la situazione è disperata e che dovrà essere lei a dare il consenso a un’eventuale operazione, visto che la madre non è più cosciente. La donna, di fronte a quello che sembra un intervento senza speranza, lo rifiuta e l’anziana morirà poco dopo le 4 della notte successiva. Questa sequela di avvenimenti, secondo la consulenza disposta dal giudice di primo grado e sostanzialmente accettata anche da quello d’Appello, ha contenuto in sé una serie di errori in grado di portare alla morte della paziente.
Secondo gli esperti, infatti, gli operatori del pronto soccorso avrebbero dovuto rendersi conto subito di trovarsi davanti a un possibile «addome acuto», vale a dire una situazione di estrema gravità che – si legge nella relazione – «in ambito chirurgico, ha una sola valenza: quella di essere un’urgenza chirurgica con un limite temporale di circa quattro ore». Dunque sia la Tac sia la consulenza del chirurgo sono arrivate troppo tardi, quando il quadro complessivo era ormai precipitato. Mentre – sostengono ancora i periti – «almeno fino alle 16, 58 i parametri vitali registrati si mantenevano stabili» e la paziente non sarebbe stata affetta da choc settico, ma da un più lieve choc ipovolemico. Secondo i giudici di primo grado e di appello, la situazione di gravità doveva essere evidente sin dall’accesso in pronto soccorso. E questo ha fatto venir meno la linea difensiva dell’Aoup che si fondava «sulla negazione – non corroborata da alcuna valida argomentazione scientifica – della gravità delle condizioni di salute della signora sia al momento del suo accesso in pronto soccorso che a seguito dell’anamnesi». In sintesi, se l’anziana fosse stata operata entro le quattro ore dal ricovero, avrebbe avuto più probabilità di sopravvivere. Per questo è stato disposto il risarcimento di circa 295mila euro, dei quali 200mila erano già stati versati dopo la sentenza di primo grado.
