Il Tirreno

Pisa

Inferno Monte Serra

Negata la scarcerazione del presunto piromane del Monte Serra

Pietro Barghigiani
Il presunto piromane Giacomo Franceschi
Il presunto piromane Giacomo Franceschi

Il Tribunale del Riesame respinge la richiesta di domiciliari per Franceschi. Si trova recluso al Don Bosco dal 18 dicembre

15 gennaio 2019
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PISA. Giacomo Franceschi resta in carcere. Il Tribunale del Riesame ha respinto la richiesta dell’avvocato Mario De Giorgio di revocare la misura cautelare della cella sostituendola con quella degli arresti domiciliari in un luogo che non fosse la residenza del volontario del Gvai a Calci a casa dei genitori.

Il 37enne calcesano si trova in una cella del Don Bosco dal 18 dicembre con l’accusa di incendio doloso boschivo e disastro ambientale. Gli contestano di essere il piromane che la sera del 24 settembre appiccò il fuoco che poi devastò i Monti Pisani distruggendo 1.500 ettari tra boschi e oliveti oltre a una dozzina di case per un danno di circa 15 milioni di euro.

Lunedì mattina è stato depositato il dispositivo dell’ordinanza che i giudici fiorentini hanno firmato come esito dell’udienza del 9 gennaio alla quale aveva partecipato lo stesso Franceschi. Presente il sostitutore procuratore Flavia Alemi che si era opposta alla scarcerazione. Per le motivazioni si dovranno attendere le prossime settimane. L’ipotesi per un no alla scarcerazione potrebbe essere quella che era alla base dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip Donato D’Auria, quella della possibile reiterazione del reato.

Un’indagine che al vaglio del Riesame resta solida nei suoi indizi di colpevolezza con relative esigenze cautelari, quella dei carabinieri del nucleo investigativo e dei forestali coordinati dalla dottoressa Alemi e dal procuratore capo, Alessandro Crini.

Nell’udienza di convalida Franceschi disse di non sentirsi bene, di essere confuso e non in grado di rispondere. Lo avrebbe fatto più avanti con calma. Una cosa, però, l’aveva anticipata senza tradurla in un verbale. «Prendo le distanze da quanto detto ai magistrati il giorno dell’arresto» aveva dichiarato Franceschi. Quelle affermazioni, però, rese alla presenza di un avvocato e nucleo centrale dell’ordinanza del gip, sono utilizzabili ed entrano nel fascicolo dell’inchiesta. Ora c’è anche un giudicato cautelare a pesare sul cammino processuale del 37enne.

Nel suo racconto, secondo la Procura, c’era una sostanziale ammissione del fatto. Il volontario sosteneva l’origine colposa dell’episodio avvenuto la sera del 24 settembre. A verbale aveva fatto mettere di essere stato vittima di un attacco di panico e di aver dato fuoco ai fili della tuta e a uno scontrino che aveva in tasca lasciandolo nel bosco. Poi il ritorno a casa e la visione di una fiammella, come un fanale acceso nel buio.

Quando entrò nella caserma dei carabinieri come persona informata sui fatti e uscì in stato di fermo di indiziato di delitto, Franceschi, stando all’accusa, fece un passo falso.

Aveva detto di non essere mai stato nel bosco da cui era partito l’incendio. Allora gli investigatori gli presero il cellulare, con il suo consenso, e utilizzando l’applicazione Google Maps andarono a ritroso nella cronologia per ricostruire la posizione del telefonino e quindi del suo possessore. La sera del 24 all’ora delle prime fiamme, Franceschi era nella zona. Una prima smentita alla dichiarazione che lui non era in quel posto, poi corretta dicendo che era andato per controllare alberi e rami a rischio per il forte vento. La difesa ha ora due strade. Il ricorso in Cassazione contro l’ordinanza del Riesame o una nuova istanza al gip che ha firmato l’arresto.
 

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