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Caso Scieri, l'arrestato incastrato dalle intercettazioni - Video

Pietro Barghigiani
Caso Scieri, l'arrestato incastrato dalle intercettazioni - Video

Ai domiciliari ex caporale di 39 anni, stava per fuggire negli Stati Uniti. In un'intercettazione dice ai familiari: «Se stavolta riescono a incastrarmi mi sa che ci muoio in carcere»

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PISA. «Se stavolta riescono a incastrarmi mi sa che ci muoio in carcere». Quando un indagato per omicidio pronuncia una frase del genere e dopo neanche due mesi prenota un volo di sola andata per gli Stati Uniti di cui è cittadino, l’epilogo naturale di quella scelta si traduce in un ordine di arresto. È la svolta nell’inchiesta sulla morte di Emanuele Scieri, laureato in Giurisprudenza, di Siracusa, trovato senza vita nella caserma Gamerra il 16 agosto 1999. Era arrivato a Pisa il 13 agosto come recluta nei parà. Aveva 26 anni. Fu trovato ai piedi della torre per asciugare i paracadute in un’area trasformata dai nonni in una zona di spaccio non contrastato dai vertici militari. Con l’accusa di omicidio volontario in concorso, mercoledì pomeriggio la polizia di Pisa e Firenze ha arrestato (domiciliari) Alessandro Panella, 39 anni, di Cerveteri (Roma), all’epoca dei fatti caporale dei parà alla Smipar. Per lo stesso reato sono indagati due ex commilitoni, residenti a Roma e a Rimini, uno dei quali ancora nell’esercito.

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L’arresto chiesto e ottenuto dalla Procura è scattato per il pericolo di fuga. L’ex parà è cittadino americano e oggi sarebbe partito da Fiumicino per arrivare a Chicago e poi spostarsi a San Diego dove ha vissuto per una decina d’anni. Con sé avrebbe portato anche il gatto - sostiene di seguire un percorso di pet therapy - e per questo si era informato con il veterinario. Pragmatico il padre: «L’importante è che riesca a partire». E il fratello: «Vagliela a notificà la roba, gli do l’indirizzo sbagliato». Un biglietto acquistato il 20 luglio, mentre il 26 da indagato convocato in Procura si è avvalso della facoltà di non rispondere. È stato il procuratore capo Alessandro Crini a spiegare le ragioni del provvedimento che non esaurisce le indagini condotte dalla squadra mobile fiorentina, dallo Sco con il dirigente Alfonso Di Martino e dalla polizia giudiziaria della Procura. «L’inchiesta non è chiusa e la misura cautelare si è resa necessaria per evitare che un indagato lasciasse il Paese» chiarisce il magistrato. Crini ha ipotizzato lo scenario in cui sarebbe avvenuta l’aggressione e poi la caduta mortale di Scieri la sera del 13 agosto 1999. Fatto spogliare e picchiato. Poi obbligato a salire sulla scala usata per asciugare i paracadute. E qui, già ferito al dorso del piede sinistro senza scarpa, costretto ad arrampicarsi solo con le mani con qualcuno, dall’interno della scala, a premergli sulle nocche con gli scarponi. Fino al volo da una decina di metri di altezza. Con il giovane aspirante avvocato agonizzante. Passeranno almeno sei ore in cui Emanuele resta immobile con un’emorragia interna fatale. «Abbiamo contestato l’omicidio volontario perché hanno lasciato Scieri a terra – precisa il procuratore –. Un’omissione di soccorso che ha provocato la morte del giovane». E fino alle 14 circa del 16 agosto nessuno si accorge di quella vittima di un “nonnismo” che alla Gamerra, scuola di addestramento dei parà della Folgore, era diventato un fenomeno incontrollabile dai vertici, incapaci a frenarlo o tolleranti nell’alimentarlo. Un comandante venne rimosso per l’escalation di violenze che segnavano gli allievi.

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L’inchiesta della Procura pisana prende le mosse dalla relazione della commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Sofia Amoddio (Pd) che la scorsa estate aveva consegnato i suoi atti, secretati in alcune parti, dopo aver sentito decine di militari. Tra questi anche il superteste Stefano Viberti, della provincia di Cuneo, l’ultimo ad aver visto vivo Scieri alle 22,15 di quel venerdì 13 agosto di 19 anni fa. «Stavamo fumando e mi disse che doveva telefonare a casa e si avviò verso il vialetto» ha sempre sostenuto l’ex commilitone che poi restò in silenzio al contrappello sull’assenza di Lele. L’accelerazione nell’inchiesta è stata giustificata dai comportamenti di Panella che, nelle 26 pagine dell’ordinanza di custodia ai domiciliari firmate dal gip Giulio Cesare Cipolletta, offre diversi spunti indiziari. Intanto, ci sono le dichiarazioni di chi subì le vessazione del caporale e dei suoi sodali ora indagati. Un militare di piantone alle camerate la notte del 13 agosto sentì dire a Panella di «aver esagerato» e di «averla fatta grossa» e di «non sapere come giustificarsi con il colonnello». Quando il caporale si accorse che il parà aveva sentito qualcosa gli disse: «Guarda che se parli ti ammazzo». E poi nella conversazione con il fratello, Panella affronta l’argomento anfibi, sequestrati dalla polizia. «Hanno preso quelli nuovi, mai messi anche se della stessa provenienza – si legge nell’ordinanza –. Quelli “vecchi” li ho buttati via appena una settimana fa». Il fratello: «Davvero? Che c...o». Scieri fu picchiato anche con scarponi militari.

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