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Violenza

Piombino, picchia e rapina la moglie del suo amante: condannata quarantenne. Vivevano nello stesso condominio

Piombino, picchia e rapina la moglie del suo amante: condannata quarantenne. Vivevano nello stesso condominio

Dovrà scontare tre anni e cinque mesi di reclusione. L’agguato, con una complice mai trovata, fuori dall’ospedale

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Piombino Avrebbe picchiato e rapinato la moglie del suo amante, aspettandola fuori dall’ospedale Villamarina: «Mi hai rotto, ora basta è finita, se voglio ti ammazzo e ti sparo», le sue parole mentre con violenza inaudita la tirava fuori dall’auto e la prendeva a calci e pugni sulle braccia e su uno zigomo. Una cittadina marocchina di 40 anni, da tempo residente in città, è stata condannata a tre anni e cinque mesi di reclusione per rapina e lesioni personali, oltre che a 650 euro di multa, al pagamento delle spese processuali, all’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici e a un risarcimento, per il momento solo provvisorio, di 2mila euro.

I fatti

Le due donne – Il Tirreno non scrive il nome e il cognome della presunta rapinatrice, per preservare la vittima della violenza – abitano in centro a Piombino, nello stesso condominio. Si conoscono bene. Nel 2019, dopo un sms con scritto «Ricordati che ti amo tanto» inviato dall’amante all’ormai ex marito della cinquantenne, quest’ultima scopre la relazione clandestina. «Era di natura esclusivamente sessuale, non c’era alcun coinvolgimento amoroso», dirà poi in aula la quarantenne. Ma da lì, per la vittima, è l’inizio di un incubo. In due occasioni trova la carrozzeria dell’auto danneggiata, mentre il 17 settembre di quattro anni fa, di notte, la stessa macchina viene data alle fiamme in strada (il responsabile non è comunque mai stato individuato ndr). Poi, l’8 novembre del 2019, l’episodio contestato: l’aggressione fuori dall’ospedale.

Ad agire non solo la quarantenne, ma anche una seconda donna mai identificata e che la vittima non aveva mai visto prima di quel momento. Oltre a tirarla fuori dall’auto e a picchiarla, la coppia, le ha rubato il portafogli con 5-10 euro e le carte di credito, il cellulare e, dopo averglieli strappati, un anello e un braccialetto. Con la cinquantenne soccorsa, portata a casa e poi di nuovo al Villamarina con un’ambulanza, dal quale è stata poi dimessa con sette giorni di prognosi con una lieve emorragia sull’occhio destro e un edema su uno zigomo. Fra l’altro, poi giorni dopo l’agguato, le due si sarebbero riviste fuori dalla scuola frequentati dai figli e la straniera, difesa dall’avvocato Giuseppe Andrea Critelli, avrebbe minacciato la cinquantenne, assistita come parte civile dal legale Pierfrancesco Sica, alla presenza di sua madre.

«Non sono stata io»

L’imputata, davanti alla giudice Rosa Raffaelli, ha sempre negato l’accaduto chiarendo – si legge nella motivazione della sentenza di primo grado – che la sera dell’8 novembre, essendo un venerdì, intendeva recarsi dai propri familiari. La famiglia, infatti, è musulmana e quel giorno è solita cenare insieme. L’imputata ha precisato che alle 20,30, quando la suocera si recò nella sua abitazione con il figlio, si trovava al supermercato, in quanto prima di andare dalla sua famiglia compra sempre quanto necessario alla sorella. La donna ha ricordato che la suocera le telefonò mentre si trovava sotto la sua abitazione, chiedendole dove si trovasse». I suoceri, ascoltati in tribunale, hanno confermato di non aver trovato a casa la quarantenne nell’arco temporale in cui, insieme alla complice mai identificato, avrebbe picchiato e rapinato la donna.

Testimone nei guai

È finito nei guai anche l’unico testimone che, citato dalla difesa, aveva collocato in un luogo diverso l’imputata la sera dell’8 novembre del 2019. La giudice ha infatti disposto il trasferimento degli atti del procedimento in procura, per l’eventuale valutazione di una falsa testimonianza. L’uomo «ha narrato i fatti in modo incompatibile con il loro svolgimento – si legge nella sentenza – aggiungendo che l’8 novembre sarebbe andato a cena a casa della famiglia dell’imputata, circostanza sicuramente non avvenuta in tale data. L’asserito alibi della quarantenne risulterebbe confermato (peraltro non in modo pieno) solo da lui, che tuttavia è parso assai poco credibile come testimone. In primo luogo la sua deposizione appare in sé non credibile: l'uomo, infatti, dopo aver precisato di non avere orari e di non portare neppure l’orologio, ha riferito di ricordare ancora, a distanza di oltre tre anni dai fatti, l'orario esatto in cui le amiche dell'imputata le telefonarono. Allo stesso modo si è detto certo che si trattasse dell’8 novembre in quanto ricorda con precisione tutti i lavori che fa e le date di inizio e fine. Una simile prodigiosa memoria appare difficilmente credibile, specie ove si considerino invece i molti “non ricordo” opposti dal teste. D’altro canto poi, pur avendo ricostruito gli spostamenti di quel pomeriggio, ha ricostruito i fatti in modo assai divergente da quanto riferito dall’imputata: secondo la donna i due si incontrarono intorno alle 16, mentre l’uomo ha rappresentato di aver pranzato con lei e iniziato un lavoro insieme intorno alle 14,30. La donna poi ha subito chiarito che, nel momento in cui la suocera si trovava sotto casa sua e le telefonava, si trovava alla Coop dove doveva acquistare alcuni oggetti, mentre il testimone ha affermato di non aver mai perso di vista l’imputato (avendola attesa sotto casa anche mentre si cambiava), ma ha escluso di averla accompagnata o vista recarsi al supermercato». Una testimonianza, quindi, non creduta e che ha comportato, per l’uomo, il trasferimento degli atti in procura. l

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