Impegno sociale

Marisol, il bar anti-violenza sulle donne: «Non esitate, chiamate il 1522»

di Stefano Bramante

	Le donne del bar Marisol a Marina di Campo
Le donne del bar Marisol a Marina di Campo

Nel bar di Marina di Campo il manifesto a tutela delle donne. La titolare: «Spesso non sanno dei servizi di aiuto esistenti per uscire dalle ostruzioni di uomini violenti»

30 agosto 2023
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CAMPO NELL’ELBA. Sara Gorgoglione, Michela Pirisi, Marika Concas, Roberta Carpinelli e Ning Saraphong, del bar Marisol di Marina di Campo, hanno scritto un manifesto che invita a chiamare il 1522, per segnalare eventuali maltrattamenti subiti da donne. Una iniziativa che altri locali pubblici isolani potrebbero imitare. Esistono infatti all’Elba assistenze di qualità col Centro antiviolenza, nonché presso la Asl, una rete molto efficiente messa in campo per tutelare le donne. E le giovani promotrici si sono espresse sul tema. Non solo. Maria, nome di fantasia, si è confidata per raccontare un suo brutto rapporto tossico. Sara, titolare del bar, sostiene che «è importante sostenere chi subisce violenza, sia fisica che psicologica. Occorre tanta informazione al riguardo e quindi abbiamo esposto quel numero di emergenza per ricevere aiuto.

Spesso le donne non sanno dei servizi di aiuto esistenti per uscire dalle ostruzioni di uomini violenti. Dobbiamo imparare a difenderci ma prima ancora vanno educati gli uomini al rispetto e a non sopraffare la donna che invece ha pari dignità. Troviamo il coraggio di denunciare, di uscire da relazioni tossiche e di ricominciare a vivere. Agiamo tutti per evitare che le violenze accadano». 

Ed ecco Roberta elbana, sposata e ha tre figli: «Ormai si sente spesso parlare di violenze sulle donne, vorrei passare il messaggio a tutte le donne di non aver paura di chiedere aiuto se subiscono violenze e di insegnare ai figli che le donne non si toccano. Sono preoccupata per le cose che vediamo e che sentiamo continuamente. È un problema culturale, ben radicato, e che bisogna combattere ogni giorno, con l’aiuto di tutti».Michela Pirisi afferma: «Al giorno d’oggi, purtroppo abusi e violenze sono all’ordine del giorno, ma nella maggior parte dei casi non vengono denunciati, per paura di non essere credute o per paura che possa succedere qualcosa di peggio. Per questo motivo abbiamo deciso di prendere questa iniziativa mettendo esposto il numero antiviolenza. Sperando che possa che possa incentivare sempre più donne a denunciare la violenza subita. Secondo me in Italia bisognerebbe avere delle pene più dure e non sottovalutare le denunce che le donne fanno». Ning è thailandese ma da 20 anni si è fatta elbana. «I genitori devono educare i figli maschi al rispetto per le donne - dice al Tirreno -, e far capire loro che i veri uomini non usano violenza ma danno solo amore e condivisione nei rapporti che nascono tra i due sessi».

Infine Marika Concas, elbana che sta per trasferirsi, per amore, in Messico, sa parlare bene in spagnolo e inglese: «E da stupidi anche il solo pensare di potersi permettere di mettere le mani addosso a qualcuno, e in particolare alle donne. Possono capitare momenti di rabbia, è normale, ma in tal caso si deve solo parlare e risolvere i problemi. Oggigiorno invece c’è troppa ansia, nervosismo che capita troppo spesso e non fa ragionare. Atteggiamenti sbagliati. La società deve migliorare e tutti devono essere capaci di usare l’intelligenza per evitare errori. Non possiamo proseguire a coltivare un mondo fatto di violenze e ingiustizie».

L’idea è intervenire subito, per evitare storie come quella di Maria, vittima di un uomo che dopo vari episodi di violenza è scappato dall’Elba. È una donna provata che vive sull’isola da tempo: «Finalmente posso far sentire la mia voce. Viviamo in un contesto sociale e culturale deleterio! Dove ancora oggi domina il patriarcato. Un mondo arretrato in fatto di parità tra donna e uomo, un mondo ingiusto. Va dato più spazio all’informazione per dire di donne che vengono stuprate, denigrate, private della loro stessa libertà e della loro stessa vita. Sono stata vittima di violenza, ho vissuto in una gabbia senza nemmeno rendermene conto. Quel numero pubblicizzato dalle ragazze del Marisol, va usato e può salvare tante situazioni. Anche io avrei dovuto chiamare per avere la speranza di avere un aiuto, per scoprire prima che ci sono vie d’uscita dall’incubo. Spesso le persone si voltavano dall’altra parte e sono indifferenti. La violenza non è un panno sporco che puoi gettare via, segna la vita come un’enorme cicatrice, che devi risanare tutti i giorni; è come un ombra che cammina dietro di te facendoti avere paura di vivere. Confido che questo articolo faccia riflettere e chi ha bisogno chiami il 1522. Non è più tempo di stare in silenzio, la voce unita delle donne può davvero cambiare qualcosa. La mia relazione tossica ora è alle spalle, è stato un elbano a maltrattarmi, ma ancora ho trattamenti di psicoterapia che mi aiutano a migliore e dimenticare il male subito».

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