Pescia ricorda Bice Bisordi. La vita della scultrice strappata all’oblio
Una biografia postuma e l’intitolazione di un largo in via della Torre
Pescia Chi era Bice Bisordi? Scultrice pesciatina di talento, apprezzata dai più grandi, ma dimenticata dalla sua città. Lei però, la donna, chi era? A questa domanda ha provato a rispondere Dianora Tassinari nel suo romanzo d’esordio “La nostra B.B.”, edito dalla Fondazione Poma Liberatutti di Pescia e che proprio oggi – martedì 11 marzo – alle 18,30 verrà presentato in Fondazione (di fianco al Teatro Pacini), in occasione dei 120 anni dalla nascita dell’artista. Sempre martedì 11 marzo alle 11 alla scultrice sarà intitolato un largo in via della Torre.
«Un’impresa ardua», la definisce Tassinari, proprio a causa della mancanza di fonti, fatta eccezione per la pubblicazione delle sue memorie, scritte di suo pugno, ma nelle quali la Bisordi ripercorre la carriera e il suo rapporto profondissimo con l’arte, tralasciando quasi del tutto la propria vita personale. Attraverso un lavoro di ricostruzione poderoso, fatto di scambi con le persone che l’hanno conosciuta, in primis i nipoti Giuliana e Raffaello Bisordi e Anna Nella Maraviglia che hanno condiviso i propri ricordi, queste pagine hanno iniziato a prendere vita. Ma se oggi abbiamo questo libro lo si deve soprattutto ad un altro tipo di sforzo, che l’autrice ha definito «onirico-immaginativo», quello che ha effettivamente consentito di riempire vuoti di informazione e ha restituito un ritratto di Bice di cui non c’era traccia.
«Questo lavoro non nasce da un impulso personale – spiega Tassinari – sono stati Paolo Trinci e Rita Fantozzi, fondatori di Poma, a chiedermi di scrivere un libro che omaggiasse la donna, oltre che l’artista. Un lavoro che si sarebbe aggiunto alla mostra a lei dedicata e al relativo catalogo, nati dal legame che da sempre la Fondazione ha avvertito con Bice». Poma nasce infatti in quello che fu il laboratorio e la casa-studio dei Bisordi e ha sempre sentito di essere “a casa di Bice” - nella stanza dove dormiva l’artista oggi c’è la biblioteca, per esempio – e anche questo colloquio è nato lì. «Non ho detto subito sì. Non sono una scrittrice, né un’esperta d’arte, ma l’idea era quella di riscattare Bice dall’oblio a cui l’indifferenza della sua città l’aveva condannata, così ho iniziato. La guardavo attraverso le fotografie che la ritraevano: una ragazzina di 18 anni, timida, riservata, la cui famiglia a dispetto del contesto provinciale in cui viveva asseconda le sue scelte. Si trasferisce a Montecatini, apre uno studio sotto i portici, in un momento storico in cui si respirava un’intensa vita mondana, ma quel bel mondo lei si limita ad osservarlo, non vi partecipa attivamente. Ho provato a intuire cosa la guidasse nelle scelte. Non è stato semplice. Da dove partire? Non si è mai sposata, non ha avuto figli né amanti. Dove la vado a cercare? Mi domandavo».
Poi, ad un certo punto, è cambiato qualcosa. «Mi sono rivolta a lei, chiedendole: aiutami a capire. Ne è nato un dialogo: costante, quotidiano, intenso. Così quello che avrebbe dovuto svilupparsi come un’attività didattica è diventata una ricerca piena di emozione, di curiosità nei confronti di un’amica restia a raccontarsi, piena di pudore, schiva, defilata, perennemente stupita del successo che ottiene». Ne nasce un legame fortissimo. «Mi commuovo per il tanto che ho pensato a lei, sono stata pure sulla sua tomba». Per quanto liberamente ispirata, quest’opera ci restituisce una creatura che guardava il mondo attraverso la curiosità, riuscendo a cogliere la particolarità in ogni aspetto della vita, capace di stupirsi di tutto ciò che la circonda. E forse in questo c’è un rispecchiamento dell’autrice col suo soggetto. «Di me dicono che sono perennemente su “un fico a mangiar le nespole”, nel senso che mi entusiasmo di tutto». Romagnola di nascita e pesciatina d’adozione, Dianora Tassinari, classe ’63, ha coltivato molteplici interessi nella vita, in ambito editoriale, politico, creativo. Attualmente fa parte del cda della Fondazione Poma. «Quando vengo qui torno a casa». Un’ultima considerazione su Bice Bisordi, qual è il messaggio più forte che ha lasciato attraverso questo libro? «Io sono Bice Bisordi, sono esistita, ma ci sono ancora».