Supermercati, il lavoratore racconta la ricattabilità: «Scioperare non è facile se hai il part-time o il contratto a tempo»
Precarietà, flessibilità, contratto non rinnovato: le ragioni della protesta e le condizioni di chi lavora nella grande distribuzione
MASSA. In questo strano tempo dove spesso lo sciopero è visto come uno strumento per raggranellare tempo libero quando si dovrebbe pensare a lavorare, giova riportare le parole pronunciate da una lavoratrice massese della grande distribuzione ieri, in chiusura di un’assemblea dove si sarebbe deciso della mobilitazione di oggi: «Non bisogna guardarci uno con l’altro, ma guardarci dentro perché questo sciopero è giusto. E va fatto».
Perché si fermano i lavoratori della grande distribuzione oggi? I contratti non rinnovati da Federdistribuzione, in un braccio di ferro con le sigle sindacali. Questo si legge in giro. Ed è la verità. Una sua sintesi, almeno. Dietro a un conflitto ci sono delle condizioni - sociali, familiari, economiche e personali - che a quella contrapposizione hanno portato. E per capirle abbiamo chiesto aiuto a un lavoratore attivo nel settore da più di dieci anni; uno che ha un contratto a tempo indeterminato e full-time ma ha deciso di non limitarsi alla cura del suo orto. Lo chiamiamo Mario, proteggendo la sua identità con un nome fittizio.
«In sintesi? Precarietà, flessibilità, contratto non rinnovato», dice rispondendo alla domanda che ci si poneva. Perché scioperare? E perché non farlo?
«Il problema sta proprio nella seconda domanda. Colleghi e colleghe sanno che questo sciopero è giusto e che ha effetti sull’immediato. Nelle assemblee ho visto molta gente incazzata e motivata. Il contratto non si rinnova da anni, mentre altre sigle, come Confcommercio, firmano. L’inflazione negli anni ha consumato i salari mentre il contratto rimaneva lo stesso. E ora c’è questo impuntamento, con in più una richiesta di aumento della flessibilità».
Già, flessibilità, parola d’ordine di un mercato del lavoro che vuole meno vincoli sulla forza lavoro, per accrescerla o tagliarla a propria discrezione. Un adeguamento resiliente alle condizioni del mercato, secondo una certa visione, ma con quali effetti su chi lavora?
«Un ricatto sulle spalle dei più deboli. Su chi è ha part-time e vorrebbe più ore, su chi ha contratti a tempo determinato e spera in un futuro stabile. Queste persone, e sono tante, vengono pagate nei periodi di maggior lavoro con gli straordinari e arrivano in quei mesi a guadagnare anche più di uno stabilizzato come me. Ma solo per quel periodo: poi tornano ai 700-800 euro al mese e le condizioni per mandarli a casa sono facili».
Difficile immaginare un futur. Con i prezzi esplosi sugli scaffali che loro stessi riempiono, con un mutuo per la casa da almeno 600 euro. Come fanno a bastare quei salari, perlopiù sempre a rischio? «Ecco perché molti non scioperano. Lo vedo nei ragazzi stagionali che magari mi danno ragione sui motivi per farlo - prosegue Mario - ma poi mi dicono: “Come faccio? Se avevo una possibilità di essere assunto e ora partecipo è finita”».
Eppure il fatturato della Grande Distribuzione nel 2023 è aumentato del 4,3% anche a fronte di un calo dei volumi (dati NielsenIQ). Per non parlare di quelli dell’era covid e dei profitti conseguenti ottenuti dai vari gruppi.
Per questo ora scioperano lavoratori e lavoratrici. Chiedono che si ragioni come un sistema: se crescono i profitti ohe crescano anche i salari. E che l’inflazione non venga lasciata libera di depredarli. Altrimenti c’è da dare ragione a un collega di Mario, che pare ripeta sempre: «La flessibilità ormai è allo stato liquido».