In 150 scendono in piazza per la “Massa che resiste” contro la guerra agli ultimi
Anche sotto le apuane la manifestazione nazionale contro lo smantellamento del sistema Sprar voluto dal Governo giallo-verde
massa. Il 28 giugno l’amministrazione comunale di Massa annuncia di non voler più aderire al progetto Sprar, il servizio di accoglienza e protezione richiedenti asilo attivo in provincia da quasi tre anni. Il 25 settembre ne ufficializza l’intenzione e quasi sistematicamente una manifestazione viene organizzata ai piedi di palazzo civico: «per una Massa che non chiuda le porte in faccia all'accoglienza dei migranti», dicevano allora i manifestanti. Ma cos'è cambiato sul piano locale da quel giorno? A raccontarlo in occasione dell'iniziativa “L’Italia che resiste” che ha portato 150 persone in piazza, sono due giovani attivisti che da tempo si occupano di progetti di inclusione sociale, Luca Marzario dell’Accademia Apuana della Pace e Carlo Perazzo dell’Arci. In questi mesi hanno infatti seguito con i propri occhi lo smantellamento del progetto Sprar, hanno chiesto incontri con le amministrazioni, hanno fatto rete per creare una sorta di alternativa a quanto messo nero su bianco dal Comune. Alla ricerca di una sfumatura, insomma.
«Da quel giorno il progetto è chiuso definitivamente a Massa – racconta Luca Marzario - e non c’è nessuna apertura a strade alternative. L’aspetto positivo è che i comuni di Carrara e di Montignoso si sono impegnati per portarlo avanti, ma questo non è avvenuto in contemporanea. E in questo frangente alcuni ragazzi sono stati spostati in altri Sprar, mentre altri si è cercato in qualche maniera di farli proseguire in un progetto». Una “qualche maniera” che per un’associazione senza scopo di lucro significa una sola cosa: fare gruppo. «Volontari e associazioni di propria iniziativa hanno realizzato raccolte fondi che sono andate bene. All'orizzonte non si intravede nessun ripensamento, ma la popolazione su questo tema non è tutta schierata da una parte. E ci sono cittadini che vogliono attivarsi per promuovere l’accoglienza. Qua stiamo parlando di persone che hanno seria necessità, che scappano da persecuzioni, violenze e fame. Non c’è mai stata una pacchia qua».
Carlo Perazza dell’Arci aggiunge: «dalla chiusura dello Sprar abbiamo cercato di dare una possibilità alle persone che si trovano sul territorio di portare avanti tirocini, lezioni a scuola, corsi di formazione e di lingua. Infondo avevano la volontà di restare e noi abbiamo cercato di raccogliere risorse per permetterglielo. Con ciò che abbiamo raccolto siamo riusciti a pagare l'affitto di un appartamento. Ma l’uscita dal progetto non ha comportato perdite solo per l'accoglienza. Il Bonus Gratitudine era per esempio un incentivo che il Governo riconosceva ai Comuni che aderivano. 700 euro per ogni richiedente asilo da spendere liberamente per il territorio. Il comune con quei soldi avrebbe potuto aprire un fondo per le famiglie italiane indigenti». —