Carrarini, io vi amo così: litigiosi e caotici
Scultrice fiamminga rivela vizi e virtù di chi è nato ai piedi delle Apuane
Ci incontriamo in un bar del centro con Sylvie Van den Broeck. È un misto di esuberante bellezza e determinazione da vendere, questa giovane artista fiamminga. A 26 anni Sylvie sta frequentando l'Accademia di Belle Arti, ma ha già una grande esperienza, sia dal punto di vista tecnico che concettuale. Ci sediamo davanti a un bicchiere di vino e cominciamo una curiosa chiacchierata: «meticcia», visto che, come dice lei, «ci sono cose che sono abituata ad esprimere in italiano, per altre preferisco il francese». Chissà se c’è qualcosa per cui preferisca il fiammingo, che però, purtroppo, chi scrive non conosce.
Cosa ti fa amare Carrara? «Mah, Carrara, e in generale la cultura italiana, sono molto diverse da quella belga; a Bruxelles, ad esempio, siamo abituati a rispettare i programmi, ad organizzare lo studio e il lavoro, qui, devo dire, non è affatto così. All'inizio è faticoso, se ancora non hai preso il ritmo, ma poi scopri tante cose positive. Adesso c'è molto che mi piace, e questo su due livelli distinti: quello artistico e quello umano. Artisticamente adoro Carrara, perché c'è il marmo ovviamente, ma soprattutto perché qui trovi tanti artisti, giovani e meno giovani, che hanno realmente voglia di lavorare. Diciamo che, solitamente, nelle metropoli artistiche è molto più facile imbattersi in chi risolve tutto in un caffè, davanti a un bicchiere, parlando di arte, non facendola con le proprie mani. C'è poi la mentalità della gente di qui. Una stupidaggine: ad esempio, il modo di guidare; in Belgio esistono regole ferree a cui tutti si attengono, mentre qui, ho riscoperto il piacere di stare in macchina, perché posso essere più rilassata, non esistono veri tabù e posso guidare come mi sento. Lo stesso succede nei rapporti umani. Appena arrivata, ero sconvolta da quanto fosse facile sentir alzare la voce, anche trattando di affari, che è qualcosa che dalle mie parti risulta assolutamente sconveniente, invece... adesso so che è un'altra cosa: qui si può litigare e poi, il giorno dopo è tutto come prima, ci si rincontra, ci si saluta ed è come se non fosse successo niente: è come se .. fosse permesso lasciarsi andare, dare spazio alla propria parte emozionale, ai sentimenti. La gente è più simpatica, più aperta».
Tu sei arrivata a Carrara l'anno scorso, per lavorare nel laboratorio di Boutros Romhein, sulla strada per Mortarola. Hai avuto tempo per approfondire i rapporti con più di un collega, chi ti ha dato di più artisticamente?
«Senza dubbio Usama Alnassar, il nipote di Romhein, anche lui scultore per il quale ho lavorato. Usama mi ha insegnato moltissimo delle tecniche della scultura e anche della vita: abbiamo parlato molto a cena, dopo il lavoro, nel suo laboratorio della Piastra vicino a Torano. Oltre a lui, i miei professori, Piergiorgio Balocchi e Francesco Cremoni e poi, i giovani scultori che popolano Carrara. È bellissimo perché qui è pieno di gente come me, persone che stanno facendo i loro primi passi nel mondo dell'arte e hanno deciso di c. ompierli qui, come è successo per moltissimi altri che oggi sono grandi e riconosciuti».
Insomma, Carrara ti piace...
«Carrara è come il mondo intero perché è assolutamente internazionale, ma, nello stesso tempo, a misura d'uomo: voglio dire, chiunque tu voglia incontrare, lo incontrerai sicuramente in piazza, che sia un artista cinese o americano, e tutto questo, con estrema facilità, senza dover correre da un capo all'altro di una grande città, sovraffollare la tua mente di appuntamenti e orari, con tutto quello che ne consegue. Insomma, tutto quel che ti serve è già qui, con in più la grande fortuna che Internet funziona a singhiozzo... In questo modo vivi ancora più rilassata, non ti senti più obbligata ad essere engagée, ad occuparti di attualità e politica (Sylvie ride, ndr) hai la tua buona scusante!».
Hai parlato del marmo, è questo che, inizialmente, ti ha fatto scegliere Carrara. Uno scultore lo trova facilmente o è troppo caro?
«Caro?! (scoppia a ridere, ndr) Qui è il paradiso degli scultori! Il marmo si trova sulle strade! Senza contare che ci sono un sacco di imprenditori e cavatori gentili che, letteralmente, ti regalano gli scarti dei grandi blocchi che a loro non servono. Ecco, questa è un'altra cosa molto interessante di Carrara: tanti giovani artisti credono sinceramente nel valore di questo materiale prezioso e si impegnano nel recupero di esso. Spesso infatti si tratta di piccoli pezzi che, seppur di ottima qualità, sarebbero altrimenti destinati a diventare carbonato di calcio».
Nonostante tu sia giovane, hai già lavorato molto; ora sei impegnata nella realizzazione dei tuoi “Lego Sapiens”, un lavoro originale che ha già cominciato a riscuotere i primi successi. Cosa c'è dietro e oltre l'idea del puzzle?
«Dietro ai “Lego Sapiens” c'è tutta una filosofia esistenziale. Loro sono uomini seriali, e seppur siano cresciuti in una scatola, tentano di uscirne: si tratta di una denuncia, di una riflessione sulle frontiere, quelle esterne, che certo esistono, ma soprattutto quelle interne. Ho pensato a lungo a Huits clos (A porte chiuse) la pièce di Jean Paul Sartre nella quale è contenuta la celebre e controversa esclamazione: “L'inferno sono gli altri!”. Questo è certamente vero, ma altrettanto vero è che siamo noi i primi a costruire frontiere interne, invisibili, come quei due pesci che, separati da un vetro, erano nemici; quando uno di loro è morto e la separazione è stata rimossa, l'altro ha continuato a vivere confinato nella sua metà di acquario, nonostante avesse ormai a disposizione l'intero spazio. C'è anche un altro atteggiamento molto comune e che non condivido, l'abitudine a guardarsi intorno insoddisfatti lamentandosi. Tutto va male, lo so, ma non posso farci niente. Credo che questo sia l'obiettivo che il sistema che stiamo vivendo ha programmato per noi: espressamente educati perché si resti piccoli, e fare quel che il sistema ci chiede. L'esempio eclatante di questo disegno è rappresentato dalla scuola, progettata appositamente per formare operai specializzati, in grado di rendere il massimo all'economia senza farsi domande. Ma tutti gli uomini possono liberarsi, così come i miei “Lego Sapiens” stanno tentando di farlo: c'è sempre una parte del loro corpo più libera, generalmente le gambe. E devo dire che facendoli, ho accettato maggiormente il sistema: anche se si tratta di copie, mai un calco sarà uguale all'altro e, perché si compongano perfettamente, devo per forza tagliare, smussare...Ho così cominciato a pensare che per vivere insieme armoniosamente, per costruire una vera società, sia necessario accettare il compromesso».
Alla stessa conclusione si giunge osservando la “Composizione 5.1” che tu chiami Millepiedi...
«Sì, non do mai un nome alle mie opere ma le numero, per sottolineare il carattere seriale della nostra società.. fra amici la chiamo così! Ed è così: la “Composizione 5.1” è composta da sei blocchi, di questi uno soltanto è girato al contrario: è solo grazie ad esso che tutta la composizione può stare in piedi, senza di lui cadrebbe istantaneamente.
Interpretazione doppia? Accettare il compromesso e, nello stesso tempo, agire con la propria testa?
«Sì, sono due i concetti di base: collaborare e convivere. Non è proprio questa la concezione su cui si fonda l'Anarchia?».
7 - CONTINUA -
