Il Tirreno

Lucca

Il caso

Moglie e figlia morte, la battaglia di Federico: «Potevano essere salvate, troppi gli errori medici in ospedale»

di Luca Tronchetti
Moglie e figlia morte, la battaglia di Federico: «Potevano essere salvate, troppi gli errori medici in ospedale»

Lucca, parla il marito della donna di 42 anni morta di parto e padre della neonata scomparsa 16 mesi dopo

01 febbraio 2023
4 MINUTI DI LETTURA





LUCCA. Chiarezza e giustizia. È quanto si attende Federico Sereni, l’imprenditore di San Giuliano Terme, marito di Emanuela Paolinelli e padre della piccola Ginevra, perdute a distanza di 16 mesi l’una dall’altra: la moglie di 42 anni il 14 dicembre 2020, mentre era nel reparto di ostetricia e ginecologia del San Luca per dare alla luce la seconda figlia, la neonata nell’aprile del 2022 per i gravissimi danni cerebrali seguiti al cesareo che l’hanno tenuta attaccata ai macchinari della terapia intensiva neonatale del Santa Chiara.

L’imprenditore e il suo legale, avvocato Massimo Manfredini, attendono l’esito dell’ulteriore accertamento chiesto dal giudice delle indagini preliminari Alessandro Trinci, che aveva accolto la richiesta all’opposizione al decreto di archiviazione dopo che per la procura, che inizialmente aveva iscritto nel registro degli indagati dieci persone accusate di omicidio colposo per colpa medica, il caso era chiuso e la morte era da attribuire a un evento accidentale e imprevedibile (una tromboembolia polmonare). Nella sua ordinanza Trinci, accogliendo le osservazioni dei consulenti tecnici di parte civile, ha chiesto al pubblico ministero di mettere a fuoco quanto avvenuto quella tragica notte attraverso una verifica con le linee guida e i protocolli regionali. E i consulenti tecnici della procura, il medico legale Margherita Neri dell’università di Ferrara e il ginecologo Pantaleo Greco docente all’università estense, dovrebbero avere già consegnato la loro relazione al gip.

Innanzitutto la gravidanza dell’impiegata di banca residente a Mastiano non era quella di una gestazione fisiologica a basso rischio, ma una gravidanza patologica per una forma di diabete e anemia. E le 12 visite ginecologiche fatte, in periodo di Covid, in regime di extramoenia dal primario ospedaliero, lo testimoniano. «Sin dal momento del ricovero in ginecologia e ostetricia – ricorda Sereni che con grande dignità sta combattendo questa battaglia in nome della figlia – le cose non sono andate come avrebbero dovuto. Mia moglie aveva un dolore alle gamba, tanto è vero che avevo chiesto una sedia a rotelle per farla salire in reparto: un segnale che non andava sottovalutato. Alle 11.11 è stato richiesto con urgenza un esame in cui è emerso che i valori venosi erano fino a tre volte superiori al consentito. Esame che non è stato vidimato da alcun medico ed è stato consegnato in reparto alle 16.21, quasi 4 ore prima dell’arresto cardiaco di mia moglie. Non è vero perciò che l’evento fosse assolutamente imprevedibile. Con l’esame del d-dimero attraverso l’ecografo si poteva capire con una certa sicurezza che era in atto una trombosi venosa». C’è poi la questione cesareo: «Viste le condizioni di mia moglie si doveva subito, prima ancora del ricovero, programmare un cesareo e non insistere sul parto indotto. Mia moglie è entrata in ospedale alla 41ª settimana e con una forma di diabete e anemia gravidica e nessuno ha pensato di evitare il parto naturale». E poi il tempo trascorso tra il momento in cui il battito della mamma è cessato e il cesareo: «Non sono io a dirlo, ma protocolli internazionali. Entro cinque minuti dalla cessazione del battito materno occorre procedere senza indugio al taglio . Se il medico in turno si fosse attenuto a questo principio mia figlia sarebbe ancora viva perché non avrebbe avuto sofferenza fetale. Questa incapacità di seguire il protocollo ha causato un ritardo di mezz’ora fatale per mia figlia Ginevra. Se questo non è un errore medico in ambito organizzativo allora mi chiedo cosa si intende per errore medico. Sono convinto che, con una maggiore attenzione e una minore superficialità, mia moglie si sarebbe salvata. Ma sono assolutamente certo che la sofferenza cerebrale di mia figlia che poi l’ha portata al decesso si poteva e si doveva evitare. Quella sera in ospedale dopo la comunicazione del decesso di mia moglie non mi fu permesso di visionarne la cartella clinica, non bastò neanche far intervenire i carabinieri sul posto. Quando finalmente 10 mesi dopo riuscimmo ad avere accesso alla sua cartella all’interno erano presenti inesattezze su valutazione del profilo di rischio, correzioni evidenti su dati di fondamentale importanza, come l’orario di nascita di Ginevra , di cui ancora nessuno ci ha dato spiegazione di tutto questo».

La difesa della persona offesa fa presente come siano passati più di 2 anni dalla tragedia, e come siano al momento occorsi circa 14 mesi per le perizie mediche richieste dal pm ai propri ct (e la seconda parte di tale perizia sulla base dei quesiti richiesti dal gip ancora non sia stata consegnata) quando i mesi a disposizione sarebbero stati “solo” tre. Sereni chiude «Ho ancora fiducia nella giustizia e combatto la battaglia non solo per me e mia figlia maggiore, ma soprattutto perché quanto è successo non debba più accadere a nessuno».

© RIPRODUZIONE RISERVATA


 

Vespa World Days
Curiosità

Pontedera, la Vespa extra large arriva in centro e stupisce tutti: «L’idea? Dopo un po’ di birre al bar» – Video

di Tommaso Silvi