Il fatto
In un libro storia e segreti del tordello lucchese
Affollatissimo incontro al Real Collegio sulla pasta ripiena più amata Rimane ancora irrisolto il dubbio più grande: perché la “t” è diventata “d”
Tre tipi di carne per il ripieno, insieme con il pane raffermo rigorosamente sciocco e con tante spezie dosate in modo che nessuna prevalga. Per l'impasto non solo uova e farina, ma anche acqua, così da renderlo più robusto e creare un piacevole contrasto con l'interno morbido. E la forma? Sempre a mezzaluna.
Ecco l'identikit del vero tordello alla lucchese, il piatto principe della nostra tradizione. A tratteggiarlo un gruppo di esperti riuniti ieri al Real Collegio in occasione del Desco, la manifestazione enogastronomica che si chiude proprio oggi.
Tra gli altri c'erano gli studiosi dell'Accademia italiana della cucina, uno dei promotori dell'incontro, le cuoche del Club Fornello di Lucca, agronomi, enologi, amministratori. E tanto pubblico, accorso non solo per assaggiare i tordelli preparati dalle “Fornelle”, ma anche per ascoltare storie e curiosità riguardo a questo piatto tipico.
Un punto di vista sicuramente originale perché raramente si è sentito parlare dei trascorsi o degli antenati del tordello. Sull'argomento la sezione locale dell'Accademia della cucina ha preparato un piccolo volume, di cui gli autori Francesco Andreini e Raffaele Domenici hanno illustrato molti passi, dandone poi una copia in omaggio ai partecipanti. Così, mentre la sala del Grano si riempiva di aromi stuzzicanti per la preparazione del piatto, si veniva a sapere che tordello è un termine usato solo dai lucchesi, dai viareggini e dai lunigianesi, mentre fuori da questi territori si chiama tortello. Perché la t è diventata d? «Non è chiaro – riferiscono Andreini e Domenici –. Forse deriva dal detto toscano “grasso come un tordo” per definire una persona robusta: i tordelli, infatti, hanno forma e consistenza piuttosto grossa e corposa rispetto a quelle classica».
In ogni caso la dizione tordello fu diffusa dopo il 1700, poiché nei menu dei pranzi di Palazzo nella Lucca settecentesca c'è ancora il termine tortello. Che invece ha origini antiche – il nome deriva dal latino torquere, cioè girare -, avendo come antenate le piccole torte farcite del Medioevo. Invenzione della cultura e della cucina di quell'epoca fin dall'XI secolo, le tortelle fecero la loro comparsa un po' dovunque: dapprima solo nei grandi pranzi, poi anche a livello popolare per rendere commestibili verdure altrimenti troppo amare o pezzi poco nobili di carne oppure per riutilizzare gli avanzi. Dalle torte salate ai tortelli il passo è stato breve. Con la variante dei ravioli, nati in Liguria – sempre in età medievale, secondo quanto riportano Andreini e Domenici - nella locanda della famiglia Raviolo, da cui presero il nome. Gli autori invitano a non fare confusione tra i due piatti: «Il raviolo è in genere quadrato, più raramente tondo. Il tortello è per lo più rettangolare, con varie eccezioni».
Come la caratteristica mezzaluna del tordello lucchese: il tondo di pasta, tagliato con il bicchiere rovesciato o con uno stampino, viene piegato sul ripieno e i bordi schiacciati con i rebbi della forchetta per evitare che, cuocendo, il ripieno esca. Della ricetta base pochi gli altri punti fermi: l'equilibrio delle spezie utilizzate, la giusta dose di farcitura (né poca né troppa), la consistenza dell'impasto (fatto con un minor numero di uova), un sugo di carne ben tirato per il condimento. E poi un pizzico di talento. — —