Livorno, muore a 39 anni: Michael e quel maledetto mal di testa – Il saluto speciale degli amici
Lavorava in un cantiere navale a Pisa ed era originario del quartiere Shangai: «Generoso e premuroso, aveva sempre un pensiero per tutti»
LIVORNO. Il rumore dei fuochi d’artificio davanti alla camera mortuaria di viale Alfieri squarcia il silenzio, interrotto soltanto da pianti e singhiozzi. Fumogeni rossi colorano lo spazio, avvolgendo il dolore di familiari e amici come in un abbraccio simbolico. «Michael avrebbe voluto così, non un funerale classico», raccontano tra le lacrime le sorelle Martina e Valentina.
Un dolore immenso
È un dolore immenso, grande quanto il vuoto che lascia Michael Landi, livornese di Shangai morto a 39 anni dopo aver combattuto per un mese contro un tumore. È lì, fuori dall’obitorio, mentre il feretro si allontana piano a bordo del carro funebre della Svs, che familiari e amici si fermano un attimo a riflettere, riavvolgendo il nastro dei ricordi. È difficile (se non impossibile) per loro accettare come fino a poco più di un mese fa la vita di Michael scorresse in modo regolare, dividendosi tra il lavoro in un cantiere navale a Pisa e l’amore incondizionato per sua figlia e il resto della sua famiglia. Poi, all’improvviso, tutto è precipitato. «È iniziato con un mal di testa molto forte – racconta chi lo conosceva – : era l’8 novembre scorso quando Michael si è presentato in pronto soccorso la prima volta; poi è tornato l’11 novembre e questa volta i medici hanno deciso di fare una Tac». E la diagnosi è stata terribile: tumore al cervello. Quindi la biopsia e i tentativi per salvarlo, invano: cinque settimane dopo, il sorriso di Michael si è spento per sempre.
Ricordi e testimonianze
Sono tanti i momenti di vita condivisi che adesso, al solo ricordo, riescono a strappare un sorriso a chi gli voleva bene. «Michael era un uomo generoso e premuroso, pensava sempre prima agli altri – racconta chi lo ha conosciuto – . Lui era così, aveva sempre un pensiero per tutti. Anche ora di recente, quando era ricoverato in ospedale, la sua preoccupazione era una soltanto: uscire presto non tanto per sé stesso, quanto per poter fare i regali di Natale alla sua bambina e alle sue nipoti. Michael era fatto così: aveva la rara capacità di unire tutti. E poi era appassionato di pesca: da piccolo lo chiamavamo scherzosamente Sampei».
L’amicizia che resta
Ed è quello che racconta un amico. «Sono qui che ascolto i suoi vocali che fino a pochi giorni fa mi arrivavano – spiega – e nonostante fosse lui quello all’ospedale chiedeva a me come stavo, si interessava del mio lavoro e della mia vita. Michael mi ha insegnato cosa vuol dire presenza: non chiedeva mai nulla in cambio del suo aiuto. Per questo, quello che oggi posso fare è raccontare di lui: lo racconterò a mio figlio e, grazie al suo esempio, gli farò capire il valore dell’amicizia. E spero con tutto il cuore che anche lui nella vita abbia la fortuna di incontrare un amico come Michael: mi mancherà ogni giorno».
L’addio collettivo
Nella mattina di venerdì 19 dicembre una piccola folla si è riunita davanti alla camera mortuaria di viale Alfieri: erano tutti lì per lui, Michael, quell’amico leale, compagno di tanti momenti felici. Gli sguardi rivolti verso il cielo, mentre il rumore dei fuochi d’artificio sovrasta ogni cosa e gli occhi, rigati dal pianto, salutano per l’ultima volta un uomo che ha lasciato un segno profondo.
