Livorno, incidente in via da Vinci. Il dolore dei parenti di Fabio: «Punire chi ha commesso tutto ciò»
Choc per l’arresto (è ai domiciliari) del cuoco accusato di omicidio volontario. La cugina: «Mi auguro con tutto il cuore che sia stato solo un sinistro stradale causato da una persona non in grado di mettersi alla guida»
LIVORNO. «Spero vivamente che chi di dovere faccia il possibile per punire chi ha commesso tutto questo e mi auguro con tutto il cuore che sia stato solo un incidente stradale causato da una persona non in grado di mettersi alla guida».
Da una parte chiede giustizia, dall’altra spera che il suo familiare non sia stato ucciso, ma abbia perso la vita a causa di un sinistro stradale provocato involontariamente. A parlare dopo l’arresto del quarantottenne pisano Francesco Vannozzi – da due giorni ai domiciliari dopo che la procura lo ha indagato per omicidio volontario e tentato omicidio e la giudice per le indagini preliminari Francesca Mannino ha disposto la misura cautelare per il pericolo di reiterazione del reato – è Simona Casaceli, cugina di Fabio Peluso, il dipendente della cooperativa “San Benedetto” morto sul colpo il primo luglio scorso in via Leonardo da Vinci mentre tornava in motorino dal mare a Tirrenia insieme alla moglie Barbara Iervasi (sopravvissuta, sebbene inizialmente fosse gravissima).
Il cinquantasettenne è stato tamponato dalla Fiat Panda guidata dal cuoco pisano Francesco Vannozzi, residente a Livorno e di ritorno dalla stessa località del litorale dove aveva finito di lavorare nel ristorante di una struttura ricettiva. Dopo l’urto contro il bauletto posteriore dello scooter la macchina si è perfino ribaltata e dagli esami effettuati in ospedale lo chef, rimasto di fatto illeso, è risultato avere un tasso alcolemico di 1,7 grammi per litro nel sangue, quando il limite è di 0,5. Per questo era già stato indagato per omicidio stradale, fino a quando la procura, sulla base delle indagini delegate alla polizia locale diretta dal comandante Joselito Orlando, ha riformulato l’accusa in omicidio volontario: il pubblico ministero Massimo Mannucci, il titolare dell’inchiesta che per Vannozzi, difeso dall’avvocata Caterina Barzi, aveva chiesto il carcere, ritiene infatti che l’incidente sia stato provocato volontariamente dopo una banale lite per motivi di viabilità avvenuta nel corso del tragitto da Tirrenia, fino al tragico epilogo avvenuto in via Leonardo da Vinci, alla periferia nord della città e davanti all’ingresso dell’azienda “Grandi Molini Italiani”.
Peluso e Vannozzi, peraltro, non si conoscevano e non si sarebbero neanche mai visti prima di quella maledetta serata che ha distrutto una famiglia. Casaceli, al pari degli altri parenti, non sapeva della riformulazione del capo d’accusa, cioè che secondo la procura il cinquantasettenne padre di famiglia sarebbe stato ucciso volontariamente. «Leggerlo è stato devastante», le sue parole. La sua è una richiesta – molto equilibrata e con toni pacati – di giustizia, che arriva da una persona che a Fabio voleva bene, come i moltissimi livornesi che lo conoscevano. Un avvocato, in ogni caso, li sta già assistendo in previsione di un’eventuale futura costituzione di parte civile che, alla luce delle indagini ancora in corso, resta comunque prematura. La ricostruzione della procura, infatti, resta di parte e, nel caso, dovrà essere confermata nel prosieguo del procedimento penale. La moglie di Peluso, Barbara Iervasi, contattata dal Tirreno per il momento preferisce non commentare quanto sta accadendo. Di quella maledetta serata, fra l’altro, lei non ricorda assolutamente niente.
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