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Livorno, il cuoco davanti al giudice dopo l’accusa di omicidio: «Non è stato un incidente. L’ha tamponato dopo una lite, uccidendolo»

di Stefano Taglione

	I mezzi coinvolti nell'incidente e la vittima
I mezzi coinvolti nell'incidente e la vittima

Secondo il pm, Francesco Vannozzi avrebbe tamponato volontariamente lo scooter guidato da Fabio Peluso provocandone la morte

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LIVORNO. Secondo la procura avrebbe tamponato volontariamente lo scooter guidato dal cinquantasettenne Fabio Peluso, che stava tornando dal mare con la moglie Barbara Iervasi, uccidendolo sul colpo. Un folle gesto compiuto dopo un litigio in strada, forse avvenuto poche centinaia di metri prima, che purtroppo non ha lasciato scampo al dipendente della cooperativa "San Benedetto", deceduto sul colpo il primo luglio scorso in via Leonardo da Vinci, mentre la consorte inizialmente gravissima è sopravvissuta, ma di quella maledetta serata che l’ha resa vedova non ricorda niente.

Il cuoco pisano Francesco Vannozzi, 48 anni e residente a Livorno, comparirà stamani alle 9 nella camera di consiglio del palazzo di giustizia di via Falcone e Borsellino per l’interrogatorio di garanzia davanti alla giudice per le indagini preliminari Francesca Mannino. Difeso dall’avvocata cecinese Caterina Barzi, non è chiaro se deciderà o meno di parlare, fornendo quindi la sua versione dei fatti. A suo carico non c’è alcuna restrizione, è sempre infatti rimasto libero dal momento della tragedia che aveva sconvolto Livorno.

Il pubblico ministero Massimo Mannucci, dopo aver riformulato l’accusa più pesante da omicidio stradale a volontario, per lui ha chiesto la misura cautelare della custodia in carcere. Ritiene - sulla base delle indagini delegate alla polizia municipale, diretta dal comandante Joselito Orlando, che ha lavorato a più non posso per cercare di ricostruire la dinamica di quanto avvenuto - di aver raccolto nei confronti dello chef, che lavora per un ristorante di una struttura del litorale pisano, gravi indizi di colpevolezza e oggi il tribunale potrebbe dare una prima indicazione sulla presunta solidità dell’impianto accusatorio, che si basa su molteplici attività investigative, come l’ascolto di diversi testimoni che avrebbero visto Vannozzi e Peluso litigare lungo il tragitto da Tirrenia, dove il cuoco lavorava e Peluso e Iervasi si trovavano al mare, fino al momento della tragedia, avvenuta vicino all’ingresso dell’azienda "Grandi Molini Italiani", in via Leonardo da Vinci appunto, uno dei principali assi viari della città, teatro fra l’altro di numerosi incidenti stradali, anche gravi.

Le immagini del drammatico sinistro, pubblicate sulla cronaca del Tirreno in quei giorni, sono emblematiche. Si vede la Fiat Panda guidata da Vannozzi cappottata dopo l’urto e il motorino finito contro un muro a bordo strada, poco più avanti, con i detriti sparsi ovunque lungo la carreggiata. Uno schianto terribile, quello alla periferia nord della città, che purtroppo non ha lasciato scampo a Peluso. La moglie si è salvata, ha dovuto affrontare mesi durissimi. Per questo il quarantottenne, oltre all’accusa di omicidio volontario, è anche indagato per tentato omicidio.

Fin dai primi istanti dopo la tragedia, come sempre accade in queste circostanze, sono stati ascoltati i testimoni, le cui parole sono state incrociate con le risultanze dei rilievi svolti sul posto nell’immediatezza dei fatti dagli agenti della municipale, alla quale era stata delegata l’inchiesta in mano al sostituto procuratore Massimo Mannucci. Il Tirreno ha provato a contattare Barbara Iervasi, la donna di 53 anni vedova di Peluso, ma per il momento preferisce non commentare quanto sta accadendo. Secondo quanto ricostruito, in ogni caso, dell’incidente non ricorderebbe niente. In molti, nei giorni scorsi, leggendo la notizia pubblicata dal Tirreno sono rimasti senza parole di fronte all’ipotesi formulata dalla procura, ricordando Peluso come un uomo fantastico, sempre disponibile, che faceva del bene a tutti ed estremamente buono.

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