Livorno, il caso Denny Magina: «Non sono stato io», si difende Hamza. Ma per la procura fu un pugno a farlo cadere
In aula Hamed Hamza si dice innocente: «Non ero in stanza con lui quand’è volato». Lunedì 27 ci sarà la discussione e probabilmente il pronunciamento della Corte
LIVORNO. «Non l’ho colpito. Non l’ho fatto cadere. Non sono stato io a uccidere Denny Magina». In aula (e tra la rabbia dei presenti) Hamed Hamza ribadisce la versione dei fatti già data agli investigatori durante le indagini. «Ero in un’altra stanza quando è caduto – sostiene – . Ho sentito il tonfo, sono andato a vedere e Denny era a terra, sull’asfalto». Il principale indiziato nel processo aperto dopo la morte del 29enne livornese si dice innocente e la sua avvocata Barbara Luceri presenta una nuova istanza di scarcerazione. La Procura, chiaramente, non ci sta. «Denny è volato giù – questa la tesi dell’accusa ribadita anche durante l’udienza di lunedì scorso – perché Hamza gli ha dato un pugno sul volto, facendolo sbilanciare». Deciderà la Corte d’Assise. Probabilmente lunedì 27 ottobre quando, oltre alla discussione, potrebbe esserci anche la sentenza nei confronti di Hamza e del connazionale Amine Ben Nossra (difeso dall’avvocata Alessandra Natale) accusati di omicidio preterintenzionale.
Il fatto
I fatti al centro del processo ormai sono noti. Il 22 agosto del 2022 Denny Magina è volato da una finestra al quarto piano di una casa popolare di via Giordano Bruno, dove si vendeva e si consumava droga, per poi morire qualche ora dopo in ospedale. I genitori del giovane livornese – Erika Terreni e Sky Magina – hanno sempre negato la possibilità del suicidio dicendo fin da subito che «non l’avrebbe mai fatto» e chiedendo giustizia per il figlio. È poi emerso che nella casa con Denny, la notte in cui è morto, c’erano anche Hamza e la moglie, Ben Nossra e Niko Casoli.
L’accusa
Sulla base delle indagini portate avanti della sezione operativa della Compagnia carabinieri di Livorno oltre che della perizia medico legale sulla salma e da ulteriori consulenze tecniche (per esempio quella sul dna) il sostituto procuratore Giuseppe Rizzo ha formulato l’accusa nel confronti di Hamza e Ben Nossra: omicidio preterintenzionale. Secondo la Procura, nelo specifico, Hamza avrebbe colpito al volto Magina con un pugno (ferendo Denny sotto al labbro con un anello) provocandone la caduta. Lo dimostrerebbero anche i segni di platino trovati nel taglio sul mento (compatibili secondo l’accuso col materiale di un anello trovato nelle disponibilità di Hamza) e il dna degli imputati trovati sotto le unghie della vittima e sui suoi vestiti, in particolare sui pantaloni all’altezza delle caviglie.
La difesa
Secondo la difesa, d’altra parte, il platino trovato nella ferita deriverebbe dall’asfalto e non sarebbe possibile collegare direttamente le tracce di dna con un’azione di tipo violento. Hamza, d’altra parte, continua a sostenere che quando Denny è caduto lui si trovava con Ben Nossra e Casoli (che nel tempo ha fornito la stessa versione dei fatti) in un’altra stanza. Inoltre «non volevo fuggire – ha detto in aula – me ne sono andato perché avevo paura di essere trovato con la droga. Non c’è stata alcuna lite con Denny e non indossavo quell’anello». Dopo il rifiuto della Corte, d’altra parte, Luceri ha presentato per il suo assistito ancora detenuto alle Sughere in regime di custodia cautelare, un’altra istanza di scarcerazione su cui la Corte deve ancora pronunciarsi. Nel frattempo è stata fissata a lunedì 27 ottobre la prossima udienza del processo. Ci sarà certamente la discussione e non è escluso che, a oltre tre anni dal fatto, si possa anche arrivare a sentenza.