Elezioni regionali, a Livorno gli astenuti primo partito. La destra non sfonda, il Pd cala
La Lega si dissolve, i riformisti terza forza dietro a Dem e Fratelli d’Italia. Dalle regionali del 2020 (quando ci fu anche il referendum) si sono persi per strada più di 18mila elettori
LIVORNO. Se solo ci si mette a contare le schede nelle urne, senza guardare ai simboli delle singole liste o agli schieramenti, anche nella città di Livorno il vincitore è uno, indiscusso, incontrastato: l’astensionismo. Ormai lo diamo per scontato, non fa quasi più notizia, ma il partito dei non votanti è il più forte con quasi il 57 per cento dei “vado al mare o da qualsiasi altra parte purché non si tratti di seggi”.
I 18mila votanti persi
A questo giro il confronto con le regionali del 2020 è imbarazzante: 58.724 votanti (43,02 per cento) contro 76.805 (56,39), vuol dire che nel capoluogo si sono persi per strada più di 18 mila elettori. Ok, si dirà che cinque anni fa ad alzare l’affluenza era stato il popolarissimo referendum costituzionale per tagliare il numero dei parlamentari, ed è vero. Ma comunque rispetto alle elezioni regionali del 2015 si sono persi 1.557 elettori e il confronto è impari se si guarda a quindici anni fa, regionali del 2010: in città votò il 55,39 per cento degli aventi diritto, in tutto 76.504 persone, quindi 17.780 schede in più rispetto a oggi.
Pd più votato ma in calo
Un calo significativo che, al di là delle percentuali, ha chiaramente anche un effetto negativo sui numeri assoluti dei sostenitori dei principali partiti o schieramenti in città, sia nel centrosinistra che nel centrodestra.
Prendiamo per esempio la lista del Pd: è risultata in assoluto la più votata nel capoluogo, con 17.379 voti (33,92 per cento). Ma non ha brillato per preferenze dei singoli e rispetto alle regionali del 2020 ha perso 6.635 voti, che diventano quasi 14.380 se si guarda il 2010, quando i Dem convinsero 31.758 elettori (ma è vero che quindici anni politicamente parlando sono un’era geologica). Certo il pacchetto degli alleati (così come degli avversari) è cambiato e i voti diretti persi dal Pd sono andati in parte all’astensionismo e in parte ad altre forze della coalizione allargata. Se infatti si guarda al centrosinistra nel suo complesso, in realtà per il recente passato si registra una tenuta: i voti andati in totale al rieletto presidente Eugenio Giani sono stati quasi 36mila (62,62 per cento) ed erano stati 35.547 nel 2020 (il 48,36 per cento, ma per esempio non erano della squadra né i 5S né parte della sinistra). Più difficile il confronto con il centrosinistra che rielesse Enrico Rossi nel 2015 (circa 25.500 voti, ma abbracciava solo Pd e riformisti, ora l’alleanza si è allargata) o con quello del 2010 che superò il 71 per cento, incassando oltre 53mila X.
Ceccardi batte Tomasi
Non è immune da questo calo di voti, che va a braccetto con l’affluenza, neppure la destra, anzi: senza entrare ora nella migrazione di preferenze tra un partito e l’altro della coalizione, tra i voti presi complessivamente sabato e domenica dal sindaco di Pistoia Alessandro Tomasi (17.024) e quelli presi cinque anni fa dall’ex sindaca di Cascina Susanna Ceccardi (24.009), mancano all’appello 6.985 schede.
In città destra doppiata
Fatte le pulci ai due principali schieramenti, c’è un altro dato da evidenziare su tutti: in città la destra non è riuscita a sfondare, neanche a questo giro. I voti del candidato di centrosinistra (35.946) sono più del doppio di quelli del candidato del centrodestra (17.029). Il consenso raccolto dalla coalizione (62,62 per cento) qui supera di gran lunga la media toscana (53,92 per cento). E se al 62,62 per cento dell’alleanza di Giani (che per la prima volta ha unito Pd, Riformisti, Avs e M5S) si somma anche il 7,3 per cento di Antonella Bundu (con 3.740 schede Toscana Rossa in città ha alzato di molto la media regionale del 4,51), ecco che centrosinistra e sinistra pesano nel rapporto con centrodestra e destra per un netto 70 a 30.
Renzi & Co risalgono
Guardiamo ora alla geografia di pesi e contrappesi dentro i principali schieramenti. Nel centrosinistra salta all’occhio lo spostamento del baricentro più verso i moderati del mondo riformista di Renzi & Co che verso la sinistra di Bonelli e Fratoianni, entrambi comunque sopra la media regionale (e Avs alla fine centra il consiglio regionale con la sua capogruppo). Nei confini del capoluogo, dietro al Pd che traina con 17.379 voti (33,92 per cento) c’è proprio Casa riformista (5.835, l’11,92 per cento), seguita da Alleanza Verdi Sinistra (4.843 voti, quasi il 9,5 per cento) e 5 Stelle (3.764 schede, il 7,35 per cento).
I pentastellati, divisi in città sull’alleanza con i Dem, appaiono ridotti al lumicino rispetto agli anni in cui governavano con il sindaco Filippo Nogarin, ma ottengono comunque la migliore percentuale toscana.
Guardando ai numeri, Casa riformista risulta infine il terzo partito del capoluogo, dopo Pd e Fratelli d’Italia (cinque anni fa Italia Viva insieme a +Europa raccolse qui poco più di 2mila voti).
Sparita la Lega
A destra a saltare all’occhio è invece la debacle della Lega. Il partito di Matteo Salvini, che nella settimana elettorale è arrivato non una ma due volte a Livorno (prima contestato ai Pancaldi, poi in tour in porto, in Darsena Europa) non ha raggiunto i 1.800 voti (3,51 per cento), vicino ai forzisti (appena 1.383 schede, 2,7 per cento). Guida il partito di Giorgia Meloni con 11.566 votanti (22,58 per cento): Fdi incassa così 4.141 voti in più rispetto al 2020, e fa una scalata se si guarda a dieci anni fa, quando all’ombra dei Quattro Mori valeva appena il 2,3 per cento (1.278 elettori).
Definirlo un successone, però, sarebbe troppo: alle elezioni regionali di cinque anni fa, quando a capitanare il centrodestra era l’ala Salvini-Ceccardi, la Lega di voti “in ciccia” nella città rossa riuscì a prenderne 12.505.