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La sentenza

Livorno, caos nel salone dei parrucchieri: dipendente licenziata e risarcita

di Stefano Taglione

	Aveva litigato con la datrice di lavoro sull’entità di una busta paga mensile
Aveva litigato con la datrice di lavoro sull’entità di una busta paga mensile

Aveva litigato con la datrice di lavoro sull’entità di una busta paga mensile

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LIVORNO. La datrice di lavoro l’ha licenziata per giusta causa dopo due contestazioni disciplinari, lamentandosi di aver subìto anche delle minacce. La prima inviata dopo una discussione avvenuta alla presenza di tre clienti il 13 gennaio del 2024. La seconda, formalizzata due settimane più tardi, dopo che il marito e la donna tre giorni dopo si sarebbero presentati con una collega e suo marito fuori dall’attività commerciale, un salone di parrucchieri della città, per chiedere spiegazioni sull’entità di una busta paga, dicendo (in senso figurato) che «si sarebbero prese loro il negozio». Strascichi, di fatto, derivanti dal primo episodio. La giudice del lavoro Sara Maffei ha condannato la proprietaria di un esercizio di Livorno a versare tre mesi di mensilità alla donna, una parrucchiera assistita dagli avvocati Bruno e Stefano Neri, licenziata dopo un breve contratto di lavoro.

I fatti

Nella sentenza pronunciata nelle scorse settimane sono ripercorsi i fatti, con la donna che ha proposto causa che ha fatto parte dello staff dall’8 marzo del 2023 al 9 febbraio del 2024, inquadrata al terzo livello del contratto collettivo nazionale acconciatura estetica-artigianato. «Il 13 gennaio del 2024 – si legge nel dispositivo – mentre nel negozio di parrucchieri era rimasta insieme a tre clienti e ad altre collaboratrici, sarebbe intervenuta una discussione nell’ambito della quale la donna poi licenziata, assieme a un’altra dipendente, avrebbe detto ridendo alla titolare: “Ora si guarda cosa le succede”. Ha dedotto poi che, con una successiva contestazione disciplinare del 31 gennaio, le era addebitato che il 16 gennaio si sarebbe ripresentata alle 17 nell’adiacente negozio gestito dal coniuge della titolare in compagnia della collega e assieme ai rispettivi compagni e mariti per chiedere chiarimenti sulla busta paga». «Nell’occasione – si legge ancora negli atti – il compagno della donna che ha proposto causa avrebbe iniziato a offendere e minacciare il coniuge della titolare e la ricorrente, invece di calmare il proprio compagno, sarebbe intervenuta con la collega pronunciando frasi del tipo: “Ora il negozio te lo portiamo via noi, a fare la settimana bianca con i nostri soldi non ci vai più”, con offese al compagno e alla figlia della datrice di lavoro. È stato inoltre contestato alla ricorrente di essersi presentata al lavoro il 16 gennaio successivo con la collega e che il suo compagno avrebbe tenuto comportamenti minacciosi nei confronti del marito della datrice di lavoro a seguito dei quali, quest’ultimo, avrebbe chiamato la polizia». Il 13 gennaio, fra l’altro, per un attacco di panico durante la discussione la parrucchiera è stata trasportata al pronto soccorso a bordo di un’ambulanza del 118.

Le testimonianze

Nell’aula del tribunale civile di via de Larderel sono stati ascoltati anche dei testimoni. «Era un sabato e io ero dentro al lavoro, sono uscito quando sentivo parecchia confusione e quando sono uscito ho sentito delle offese che adesso non ricordo nel dettaglio, le offese alla figlia però non le ricordo – le parole di un lavoratore che si riferisce al primo episodio – poi mi disse “torna dentro” anche perché era sabato, c’era gente e quindi sono rientrato, non sono stato tanto fuori, inizialmente avevo visto solo due uomini le ragazze le ho viste dopo. Sembrava che la situazione potesse degenerare da un momento all’altro, mentre ho sentito che loro offendevano». Una collega, riferendosi invece a quanto accaduto tre giorni dopo, ha spiegato «il mio contratto di lavoro era dal martedì al sabato, a volte l’attività il martedì stava aperta, io lo so perché ero il punto di riferimento della titolare. Visto che il sabato ci eravamo lasciati in quel modo, lei non ci aveva detto se il negozio era aperto o meno di martedì, ci siamo presentate al lavoro per evitare richiami, quando siamo arrivate lì alle 8,45 il negozio era chiuso e nel frattempo abbiamo visto arrivare il marito della datrice al telefono e poi quando lui ci ha visto ha iniziato a zoppicare mettendosi una fascia al braccio. Ha aperto il negozio della moglie, poi è arrivata la polizia».

La pronuncia

«Le dichiarazioni – scrive la giudice nella sentenza depositata nelle scorse settimane – da un lato non provano la sussistenza di un atteggiamento minaccioso posto in essere dalla ricorrente e dall’altro appaiono di dubbia attendibilità anche in ragione delle querele sporte tra i vari soggetti coinvolti. Orbene, tali risultanze istruttorie in relazione ai fatti dedotti nella contestazione disciplinare depongono in senso contrario alla veridicità degli stessi e alla loro rilevanza disciplinare, non comprendendosi come possa essersi tradotto in un atteggiamento “palesemente minaccioso” il sostare davanti al luogo di lavoro da cui la ricorrente non era stata formalmente allontanata e a cui non risulta allegato che abbia provato l’accesso». Per questo la titolare è stata condannata al risarcimento in favore dell’ex dipendente, da lei licenziata per giusta causa, delle tre mensilità.

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