Gabriele Baldocci, il pianista livornese che ha conquistato il mondo: il nuovo disco, il video sulla Terrazza e Toto Barbato
Concerti coi grandi e cattedre prestigiose, l’ex bimbo prodigio vive a Londra. «Sono arrivato fino a qui grazie a fatiche e sacrifici miei e della mia famiglia». La nostra intervista
LIVORNO. Il mare è senza età. Un amico che scompare troppo presto, nell’immaginario comune, resta giovane per sempre. La musica, un certo tipo di musica, è senza età. Anche l’amore per la propria terra di origine, lasciata e poi ritrovata a piccoli sorsi, può travalicare il tempo e le distanze, nel momento in cui ci si riconcilia e si capisce che gli anni che passano non spezzano il cordone. Basta guardarlo in modo diverso.
Una riflessione sul tempo e un omaggio all’amico Ezio Bosso sono ciò che danno il “la” al nuovo disco di Gabriele Baldocci, pianista e compositore livornese di fama mondiale, che vive ormai a Londra da 10 anni ed è naturalizzato britannico. Descritto dal compositore americano Jed Distler su Gramophone (rivista di musica classica tra le più note al mondo) come “un pianista dalle capacità formidabili”, Baldocci ha tenuto concerti in illustri istituzioni musicali come la Tonhalle di Zurigo, il Musikverein di Vienna, il Parco della Musica di Roma, il Teatro Colon di Buenos Aires, l’Auditorio Nacional di Madrid, il Palau de la Musica di Barcellona, il Ceramic Crystal Hall di Seoul, la Parnassos Hall di Atene e tanti altri in giro per il mondo. Ma soprattutto Baldocci è un educatore molto attivo, professore al Trinity Laban Conservatoire of Music di Londra, fondatore e direttore del London Piano Centre e della Milton Keynes Music Academy. Insomma un prodigio. Il 13 ottobre uscirà Ageless, album di composizioni per piano solo prodotto dal The Cage e anticipato dall’uscita del singolo omonimo, dedicato all’amico londinese Bosso, altro genio della musica scomparso nel 2020 a cui Baldocci era molto legato, pur non avendolo mai incontrato di persona. Il video che accompagna il lancio del singolo Ageless è girato alla Terrazza Mascagni, dove Baldocci si trova da solo con il piano in una ventosa giornata di questa estate appena conclusa.
Che emozione è stata trovarsi lì davanti al mare in uno dei simboli di Livorno?
«L’idea di girare il video alla Terrazza Mascagni è venuta al regista Anton Giulio Onofri e a me è parsa subito geniale. Io ero a Livorno in quei giorni e ho smosso mari e monti per ottenere i permessi, fortunatamente concessi nel giro di poco. Il clima ci ha fatto un regalo: pur essendo in piena estate abbiamo trovato una giornata di libeccio con un cielo carico di nubi, ed è stato perfetto per quello che volevamo. Un’atmosfera senza tempo, crepuscolare, ci ha permesso di fare questo bellissimo video».
Ezio Bosso e Gabriele Baldocci: come vi siete conosciuti e perché una canzone in suo omaggio?
«Prima che lui andasse a Sanremo e facesse il grande salto, un amico comune ci ha messi in contatto nel 2012, quando sono andato a Londra per il mio primo incarico. È nato un rapporto epistolare che è andato avanti negli anni, pur non essendo mai riusciti a incontrarci di persona. Abbiamo percorsi simili alle spalle, anche per storie familiari. Ageless è un brano nato dalla riflessione che quando qualcuno se ne va troppo giovane il resto del mondo gli invecchia intorno. Il singolo, pertanto, è dedicato alla freschezza che si ha nei ricordi di chi ci lascia senza tempo. Ho usato uno stile diverso rispetto al resto del disco, più minimalista, ascoltando tracce su tracce di Ezio Bosso prima di comporlo. Così è venuto fuori l’omaggio che volevo fargli».
E il resto del disco com’è? Quali altri personaggi e storie ci sono dentro?
«Ci sono dei ritratti musicali: uno è dedicato a Paolo Virzì. Siamo amici e gli ho voluto dedicare un brano. Un altro è dedicato a mia moglie, un altro ancora a Barbara Luccini, soprano livornese che ha una voce incredibile; c’è anche un ritratto dedicato a Serena Rose Zerri, poetessa e cantante milanese, mia cara amica. E poi ci sono tre brani trascritti da Mascagni: un livornese che trascrive un livornese. In generale, è un disco che non ha etichette di generi e attraverso il quale voglio raggiungere un pubblico più ampio. Ho una formazione classica e sono già conosciuto in quell’ambito, perciò voglio andare in altre direzioni».
C’è tanto di Livorno nell’album, perfino la produzione targata The Cage. Come è nata questa sinergia?
«Con Toto Barbato (direttore artistico dell’associazione The Cage, ndr), siamo diventati amici durante la pandemia. Lui è un grande fan dei Genesis e ha scoperto che io sono grande amico di uno dei fondatori della band. Una volta gli ho mandato un mio pezzo e lui mi ha proposto di produrre il disco. Questo è un progetto made in Livorno: da qui partiamo per farlo conoscere in Italia e all’estero, spero anche a Livorno. La prima data sarà il 18 ottobre al Monk di Roma».
È spesso invitato a tenere masterclass in alcune delle più importanti università e accademie del mondo. Quali altri progetti ha in ballo?
«Ho un’altra uscita a novembre: si tratta dell’ultimo album della mia integrale delle sinfonie Liszt-Beethoven. È un progetto più a carattere internazionale che si era fermato durante la pandemia e adesso riparte».
Quando ha cominciato a suonare?
«Ho cominciato suonando la tastiera a tre anni, poi a nove i primi concerti, crescendo fino a intraprendere una carriera di successo, vincendo premi in numerosi concorsi pianistici come il Casagrande in Italia e il Concorso Martha Argerich a Buenos Aires».
Che cosa pensa se si guarda indietro?
«Penso che oggi, a 43 anni, mi ritrovo in una vita che volevo e ci sono arrivato grazie alle fatiche della mia umile famiglia, grazie ai sacrifici che hanno fatto i miei genitori e alla loro sensibilità. Sono stato fortunato, ho potuto studiare e una grande come Martha Argerich mi ha lanciato, ma tutto nasce dal niente. Si pensa spesso di vivere in un mondo in cui se non hai soldi e non sei raccomandato non arrivi. Invece si può, lavorando tanto, non dando mai niente per scontato e contando sul sostegno e l’affetto di chi ti è vicino».
Che posto occupa Livorno nel suo cuore e nel suo percorso?
«Da quando vivo fuori ho un rapporto migliore con la città. Ho un amore profondo per Livorno, tanto che per anni ho sofferto del fatto che, pur suonando nei più grandi teatri del mondo, non venivo chiamato al Goldoni. Era come non essere riconosciuto dalla mamma. Ora ho fatto pace con tutto e quando torno a Livorno sono felice: non mi aspetto niente, vengo in vacanza, mangio il cacciucco e me la godo».