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Partorisce a casa coi volontari: «Dopo abbiamo pianto tutti». L’allarme, la corsa contro il tempo e la grande gioia

di Stefano Taglione
Partorisce a casa coi volontari: «Dopo abbiamo pianto tutti». L’allarme, la corsa contro il tempo e la grande gioia

L’enorme emozione per un bambino che nasce. Ce la raccontano i volontari della Svs di via San Giovanni

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Livorno Una volta al pronto soccorso, realizzato che il bimbo e la mamma erano salvi, tutti insieme sono scoppiati a piangere: «Avevamo i “lucciconi” agli occhi – racconta l’autista Dario Mazzantini, 23 anni e da otto volontario per la Svs di via San Giovanni – e quando la ragazza, nella shock room dell’ospedale, ci ha sorriso ci siamo letteralmente sciolti. Era un sorriso bellissimo, non lo dimenticherò mai».

L’allarme

Dario – insieme all’esperto medico del 118 Gianluca Cappetta, 59 anni – era a bordo dell’ambulanza della Svs di via San Giovanni che domenica 24 settembre, alle 6,32, è stata chiamata a intervenire in via Sproni, in centro, per una donna che stavano partorendo in casa. Il suo tempo era scaduto e si erano rotte le acque. Insieme a lui, come volontari, c’erano Giulia Smriglio, Michael Nocchi e Lisa Orsini. Ragazzi molto esperti a livello sanitario, che nella notte fra sabato e ieri erano di turno per aiutare la città. «Ho parlato io con la centrale del 118 – racconta Mazzantini, che era alla guida del mezzo di emergenza – e poiché la famiglia non parlava bene l’italiano, l’infermiere in sala operativa non aveva capito molto. Al telefono mi ha detto: “Non so se il bambino sia già venuto alla luce o no, ho parlato con il marito e non si spiega bene. È straniero, dillo al dottore». Andate e fate prima che potete”.

Corsa contro il tempo

È una corsa contro il tempo, perché ogni minuto potrebbe essere perso per sempre. «Per arrivare da via San Giovanni a via Sproni ci abbiamo messo quattro minuti, cinque al massimo – prosegue il volontario – perché soprattutto quando ci sono i neonati da salvare sulle strade si deve “volare”. Da quanto mi ha raccontato il compagno della donna, di notte, lei aveva avuto le contrazioni, ma aveva preferito aspettare il mattino per chiamarci. All’inizio non voleva».

L’arrivo in casa

Un rischio, quello corso dalla neomamma. “Volando” per le strade del centro gli “angeli” del soccorso prima delle 6,40 sono comunque già in via Sproni. Il bambino non è ancora nato. Ad aprire la porta il padre, colui che ha chiamato il 112. «Ho subito preso in braccio la loro figlia, una bambina di due anni – racconta Mazzantini – e ho detto al babbo di portarla via, in un’altra stanza, perché era meglio che non assistesse alla nascita del fratellino». Così ha fatto. In camera da letto, distesa sul pavimento, c’era la moglie, una trentaduenne senegalese. Il piccolo sta per venire alla luce. E i volontari, insieme al medico, entrano in azione. «Abbiamo assistito il dottor Cappetta, tenendo ferma la giovane – racconta l’autista dell’ambulanza – poi lui ha fatto nascere il bambino, lo ha preso fra le braccia per controllare che stesse bene e lo ha dato alla mamma». Il neonato, venuto al mondo in un luogo oggi così insolito, si è messo subito a piangere. Il segnale che forse stava andando tutto bene, visto che respirava senza problemi. «Il dottore non ha tagliato il cordone ombelicale – racconta ancora Mazzantini – visto che se non avessimo tardato più di 15-20 minuti per raggiungere l’ospedale non ce n’era l’urgenza e lo avrebbe fatto l’ostetrica. In shock room, infatti, ci stava aspettando l’équipe ostetrico-ginecologica.

Le lacrime

Non è ancora il momento di festeggiare, perché ora la donna deve arrivare al pronto soccorso. Cappetta fa sdraiare la trentaduenne sul letto e da lì viene posizionata su una barella. «Andiamo subito in viale Alfieri», esorta il medico. E in meno di 15 minuti dalla nascita, così da preservare il cordone ombelicale, da via Sproni l’ambulanza raggiunge il triage e tutto si conclude nel migliore dei modi. «Il bambino e la mamma stanno bene», spiegano dalla shock room. E il medico e i quattro volontari scoppiano a piangere e si abbracciano tutti insieme: «Ce l’abbiamo fatta». «Otto anni fa – rivela Mazzantini – mi capitò un’esperienza simile, ma ero all’inizio in Svs e rimasi in ambulanza. Stavolta l’ho vissuta in maniera diretta, è stato toccante. Il dottore di turno all’ospedale ci ha fatto i complimenti per come abbiamo agito. Io non sono un medico, solo un volontario, ma credo che se fossimo arrivati tardi forse sarebbe stato tutto molto più difficile». Poi i soccorritori, mentre stanno per tornare in sede, si fermano in via Grande e si scattano una foto per celebrare quel soccorso così speciale. «Come si chiama il bimbo? Non lo so, la mamma non parlava nemmeno italiano, quindi non ci ha detto nulla. Accusava dolori atroci e non era proprio in grado di comunicare. Ma il suo sorriso, una volta salva in ospedale, è stato il regalo più grande. Ci ha sciolto il cuore». l


 

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