Dalia Colli è la regina del trucco a Venezia. «E ora fondo una scuola a Livorno»
L’artista al Festival per “Io capitano” di Matteo Garrone. Dopo tre David di Donatello un altro successo: «Cerco film poetici e artistici»
LIVORNO. All’ottantesima Mostra del Cinema Internazionale di Venezia iniziano già a fioccare premi per il merito e uno tra i primi ad essere stati assegnati è quello all’artista livornese Dalia Colli, per il trucco del film in concorso "Io capitano" di Matteo Garrone.
Dalia Colli, classe 1976, nelle scorse ore, ha ricevuto un premio speciale indetto dal Premio internazionale Cinearti "La Chioma di Berenice" e promosso dalla Cna, la Confederazione Nazionale dell’Artigianato, riservato alle maestranze del cinema (insieme a lei è stata premiata anche la giovane attrice Benedetta Porcaroli).
Il premio si aggiunge alle prestigiose statuette già vinte della truccatrice livornese, tra cui tre David di Donatello per tre opere di Matteo Garrone (nel 2013 per "Reality", nel 2019 per "Dogman" e nel 2020 per "Pinocchio") e un European Film Awards (sempre per "Dogman"). La Colli insieme a Mark Coulier (trucco prostetico) e Francesco Pegoretti (acconciature) è stata candidata all’Oscar 2021 "Miglior trucco e acconciature" per "Pinocchio" (con loro, a Los Angeles anche, con una seconda nomination, Massimo Cantini Parrini per i miglior costumi).
Curiosità non da poco, ai David di Donatello 2020, Dalia Colli gareggiava contro sé stessa perché era in nomination anche per "Il Traditore" di Marco Bellocchio (dove Pierfrancesco Favino grazie al trucco diventa il pentito di Mafia Buscetta).
Tra le oltre 35 pellicole alle quali ha lavorato Dalia Colli nei suoi vent’anni di carriera citiamo anche "Casanova" (di Lasse Hallstrom con Heath Ledger), "Gomorra", "Smetto quando voglio", e "Il nome del figlio". Dalia, lei ha vinto un premio per "Io Capitano".
Cosa ci può dire di questa pellicola così importante?
«E’ un film bellissimo. Ha un grande ritmo e una storia molto potente. Mette in mostra il vero lato umano dei "viaggi della speranza", come forse nessun film ha mai fatto prima. Girarlo però non è stato una scampagnata. Del mio reparto, eravamo in due soltanto. Non è stato semplice reperire i materiali in Senegal (molto spesso ci bloccavano i trucchi alla dogana). Poi, tanti attori, tante comparse, tanti effetti speciali (anche di trucco), condizioni ambientali avverse, in particolare nel deserto; taglio documentaristico, due mesi e mezzo di riprese tra Senegal, Marocco e Sicilia»«E’ stata un’autentica avventura - continua Dalia -. In pratica, quello che sentono i protagonisti lo abbiamo vissuto - in parte e con le dovute proporzioni - anche noi sulla nostra pelle».
Dopo tanti film e tanti premi che le sono stati assegnati, come sceglie i suoi progetti?
«Diciamo che "provo" a scegliere; a volte è possibile, a volte no. A me piace che il film che vado a fare sia interessante, dal punto di vista artistico, poetico e visivo. Ho bisogno che il lavoro sul quale mi concentro sia stimolante per me. Se diventa routine c’è il rischio che il lavoro diventi monotono. I film di Matteo Garrone sono sempre stimolanti. Così come quelli dei Maestri, come Bellocchio o l’Ermanno Olmi di "Torneranno i prati". L’importante in un film è il cuore, la testa, l’impegno. Devi riuscire a fare un bel lavoro; anche in condizioni difficili».
Ci può svelare il suo prossimo progetto?
«Inizio lunedì un lavoro con Stefano Mordini, l’autore de "La Scuola Cattolica", "Acciaio", "Il testimone invisibile" e "Pericle il nero". E’ una serie gialla per Netflix».
In generale, come vede il suo futuro nel cinema?
«I tecnici italiani sono bravi, ce ne sono anche di validissimi a livello internazionale. Bisogna però che arrivino nuove "classi" di giovani, con meno paura della "tecnologia". Per esempio, io uso l’aerografo per truccare, bisogna evolversi. Il digitale sta dilagando. E’ necessario aggiornarci per non essere schiacciati dal nuovo che avanza».
A questo proposito, ha mai pensato di tramandare il suo lavoro in qulche maniera?
« Sì. E posso darvi una notizia: a breve, intendo aprire una scuola a Livorno, sul Pontino. La nostra città ha una tradizione cinematografica non indifferente, ha talenti e ha passione. Vorrei riuscire ad aprire un po’ le porte di questo mondo a quei ragazzi che non possono andare a Londra o in America a studiare. La penso come un’Accademia specifica per il trucco cinematografico, con basi di "effetti speciali" e altre cose tecniche, ma anche di pittura, storia dell’arte, di cultura in generale. Ho studiato all’Accademia di Belle Arti e questo mi ha aiutato tanto; le basi culturali di storia dell’arte, di filosofia, ti danno "sensibilità" e il cinema è questo: sensibilità. Vorrei concentrare tutto il sapere in corsi medio-lunghi, da settecento o novecento ore. Devo capire come avere le certificazioni della Regione per dare un diploma in mano agli studenti e formarli come mi sono formata io, partendo da qui, partendo da Livorno».
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