Il Tirreno

Il lutto

Addio a Piero Bernini: salì per primo sul Moby Prince in fiamme


	Il vigile del fuoco scomparso
Il vigile del fuoco scomparso

Livorno: ex vigile del fuoco, lascia la moglie e tre figli. «Piero, quando vuoi ci mettiamo qui che mi racconti. Con il materiale che hai ci puoi scrivere un libro», gli diceva spesso Enrico Bianchi, il suo medico da tanti anni

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LIVORNO. «Piero, quando vuoi ci mettiamo qui che mi racconti. Con il materiale che hai ci puoi scrivere un libro», gli diceva spesso Enrico Bianchi, il suo medico da tanti anni. Perché di “materiale” – storie vissute, interventi in scenari devastati, situazioni di pericolo – Piero Bernini ne aveva veramente tanto. Molte storie cucite sulla pelle, esperienze vive della sua professione di vigile del fuoco. Esercitata sempre con grandissima professionalità e umanità, sin dai primi anni ’60 quando indossò per la prima volta la divisa nella caserma che allora si trovava in Venezia.

Bernini se n’è andato in un letto dell’ospedale la scorsa notte, dopo un rapido ricovero, per le complicazioni seguite a una patologia. Aveva 81 anni ed è stato, a lungo, una colonna dei pompieri livornesi, partecipando ad alcune tra le più importanti operazioni di soccorso su scenari diversi, in tutta Italia. Ma l’esperienza forse più toccante e drammatica, per Bernini, fu senza dubbio quella della tragedia del Moby Prince, la sera dell’11 aprile 1991 quando il traghetto si schiantò contro la petroliera Agip Abruzzo e nel rogo morirono 140 persone. Piero, quel giorno, era il capo della squadra che per prima salì a bordo del traghetto ancora incandescente. Ha sempre raccontato con grande fatica, ai figli ai parenti e agli amici, che cosa vide. Ma soprattutto lo strazio di raccogliere quel che rimaneva dei corpi dei passeggeri e dell’equipaggio. Un’esperienza che lo ha segnato profondamente. Eppure, nella sua carriera, Bernini ne ha visti tanti scenari di morte e devastazione. Cominciò col sisma di Trapani per proseguire con l’alluvione del 1969. Poi gli interventi sui terremoti del Friuli, nel 1976, con la missione a Gemona. Quello dell’Irpina, quattro anni dopo, con quasi tremila morti.

Un amico e collega ci racconta oggi: «Lo conoscevo abbastanza bene. Lui era capo officina, poi al tempo del Moby Prince c’era anche io. Mi ricordo che salimmo su e le lemiere erano ancora molto calde. Gli stivali si appiccicavo sul ponte del traghetto. Appena saliti su si individuarono quelle che erano le vittime sul ponte. Erano quattro persone. E un ricordo idelebile. Sono cose che ti segnano e quando ripenso a quel periodo. Rimanemmo sul traghetto per diverso tempo per recuperare il corpi delle vittime. Mi sembra di riviverla quella scena. Autoscala ponte posteriore del traghetto. Eravamo la prima squadra». Aveva un bel legame e un rapporto di stima e amicicia con l’allora comandante Fabrizio Ceccherini. I colleghi lo ricordano come una persona seria, professionale e affidabile.

Piero, che viveva a Salviano in via di Costanza, lascia tre figli (Stefano, Giacomo e Monica) e la moglie Clara, oltre ai nipoti. A loro giungano le condoglianze di questa redazione del Tirreno.

Oggi alle ore 16 nella cappella dell’obitorio dell’ospedale la benedizione per i funerali.