Il Tirreno

Livorno

L'intervista

«A Livorno aumentano i reati, ma i nostri compensi sono miseri»: lo sfogo dell'avvocato Gambacciani

Stefano Taglione
L'avvocato livornese Massimo Gambacciani
L'avvocato livornese Massimo Gambacciani

Il legale: «Molti clienti chiedono il gratuito patrocinio a spese dello Stato. Quasi un terzo dei colleghi negli ultimi tre anni ha cambiato lavoro»

17 dicembre 2022
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LIVORNO. «Livorno, dal punto di vista della criminalità, molto recentemente è stata classificata dal Sole 24 Ore al nono posto fra le province italiane. Se è vero quindi che la città è vittima di una microcriminalità diffusa che vive di furti, violenza e spaccio, a questo non corrisponde un fruente mercato professionale degli avvocati, nel senso che buona parte degli utenti si presentano negli studi legali e chiedono di essere ammessi al gratuito patrocinio. Quindi a spese dello Stato, il quale paga i difensori sulla base di protocolli che prevedono liquidazioni di onorari minimi».

A parlare sul momento critico «delle professioni intellettuali e quindi anche dei legali labronici» è l’avvocato Massimo Gambacciani. «A questo – prosegue – si aggiunga che Livorno, conosciuta negli anni passati come aggregazione urbana ad alto tasso di litigiosità, oggi sta mutando consentendo un minor carico giudiziario e una minore necessità di ricorso agli avvocati. C’è stata poi, anche qui, un’evidente crisi economica che ha comportato un calo di richieste di tutto il comparto libero professionale e non solo di avvocati».

Avvocato, anche a Livorno c’è quindi una crisi dell’avvocatura?

«Osserviamo le stesse difficoltà nazionali. Secondo il rapporto Censis 2022 il 32,8% dei colleghi sta prendendo in considerazione l’ipotesi di lasciare. Le ragioni sono i costi eccessivi e il riscontro economico sempre più insoddisfacente. A questo deve aggiungersi la crisi della guerra in Ucraina e che, nel primo anno della pandemia, il reddito medio annuo ha subìto una riduzione del 6% e nel secondo anno anche del 10/15%».

Ci sono troppi avvocati?

«Sì, solo a Roma ce ne sono più che in tutta la Francia. Già una ventina di anni fa gli iscritti a giurisprudenza erano talmente tanti da potersi prevedere una saturazione negli anni a venire e oggi si è creata una densità di colleghi/competitor altissima».

E in molti hanno già cambiato lavoro...

«Negli ultimi due o tre anni si sono registrate cancellazioni rilevanti. Molti ex colleghi sono entrati nelle amministrazioni eliminando alla radice la stressante precarietà. Tanti sono confluiti negli uffici del processo, in supporto ai giudici, altri hanno cambiato radicalmente lavoro e qualcuno si è accontentato di impieghi modesti».

Cosa ne pensa della riforma del processo penale?

«La riforma vorrebbe rendere il processo più contenuto nei tempi. Inoltre interviene su alcune norme nella prospettiva che la sanzione non sia necessariamente quella carceraria: l’obiettivo è riabilitare il condannato senza la detenzione. Cambia il metodo per stabilire se il processo deve andare avanti o fermarsi e si ipotizza che ci saranno meno processi alla fase del giudizio e più vicende che termineranno con un’archiviazione o con una sentenza di non luogo a procedere. La legge, inoltre, fornisce ampie deleghe al Governo».

L’avvocatura si salverà?

«Certo, da qui ai prossimi anni sarà un’avvocatura diversa. Il processo sarà sempre più telematico e il legale, come ha sempre fatto, saprà adeguarsi. Consiglio ai giovani di qualificarsi professionalmente, saper cogliere con intelligenza le nuove opportunità lavorative, costituirsi una coscienza di ruolo che passa dalla pretesa di rispetto, perché convintamente certi che gli avvocati rappresentano il sunto di una garanzia costituzionale assolutamente ineludibile». 

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