Il Tirreno

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Ve lo racconto io il mio Tirreno, così siamo risorti dopo la guerra

Aldo Santini
Ve lo racconto io il mio Tirreno, così siamo risorti dopo la guerra

Oggi il nostro inviato speciale Aldo Santini avrebbe compiuto 100 anni. La rocambolesca rinascita del giornale reinventato in una città in macerie

05 luglio 2022
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Quando nel secondo decennio del '900 la sua firma appare sempre più frequente sul “Telegrafo”, i livornesi, con micidiale umorismo, cambiano il suo nome in uno sberleffo: «Athos, bastone e guanti». Lui ne gioisce: «È segno che mi leggono». E difatti i suoi interventi, i suoi servizi, le sue polemiche, i livornesi se li bevono come grappini.

Figlio di madre ebrea, Emma Della Riccia, Athos Gastone Banti è un impiegato delle poste allorché prende a collaborare con il giornale di piazza Carlo Alberto. La carriera è rapida. Assunto in pianta stabile, diviene presto capo redattore e appena scoppia la Grande Guerra il “Giornale d'Italia” di Bergamini, di cui è corrispondente da Livorno, ne fa il suo inviato speciale al fronte. E lassù, con Barzini senior, Guelfo Civinini e Fraccaroli del “Corriere della Sera”, forma un poker di assi del quale non sappiamo se apprezzare di più l'autorevolezza o l'audacia. (…)

È questo AGB che il 28 gennaio 1945 fonda “Il Tirreno” in una Livorno sfasciata dalla guerra. Ha 64 anni ma è ancora giovanile (…) Spiega che da Roma, dove abitava, aveva chiesto di tornare a Firenze per riprendere il dialogo troncato venti anni prima dai fascisti che gli avevano incendiato “Il Nuovo Giornale”. Gli americani non gli dettero il permesso ma gli dissero che se avesse accettato di andare a fare, a sue spese, un giornale indipendente a Livorno, avrebbero concesso l'autorizzazione. Bisognava passare da Firenze, e farsi consegnare il documento. AGB ci va e lì gli dicono che glielo danno, purché esca il 28 gennaio. È il 27.

Quel 28 gennaio

Sentite come rievoca quel 28 gennaio. «Arrivai a Livorno sull'imbrunire della vigilia, con un'auto americana che mi scaricò davanti al palazzo fortunamente illeso dell'ex Telegrafo, e ripartì subito. Avevo portato la testatina del “Tirreno” e un paio di articoli prefabbricati. Trovai che nello stabilimento tipografico, che era di proprietà Ciano, e che gli alleati avevano requisito affidandone la gestione a un uomo di molta esperienza e cortesia, l'editore livornese Gino Belforte, si stampavano già lo “Stars and Stripes” e un giornaletto d'armata. Gli operai c'erano, ed erano livornesi. E c'era anche, ad aspettarmi, il giovine giornalista concittadino che io conoscevo, Milziade Torelli, e che nominai redattore capo sul campo, anzi sull'uscio». E cosa succede? «Ci mettiamo subito a lavorare, lui ed io; il comm. Belforte mi fornì, a credito, la carta e la tipografia. Gli operai mi dettero quella sera un po' del loro mangiare: chi un uovo, chi un pezzo di pane, e chi una mela. Il pasto che ricordo con più commozione! Alle due del mattino il giornale, formato protocollo, o quasi, andava in macchina.

La fame di informazione

AGB c'informa: «Quella mattina del 28 gennaio 1945 i miei generosi e ardenti concittadini finirono in un amen le 7000 copie che avevamo stampato» (...). La tiratura tocca le 80mila copie. E si scatena la concorrenza. Nello stabilimento dell'ex “Telegrafo” i democristiani fondano “Il Giornale del Popolo” e i socialcomunisti “La Gazzetta”. Il primo muore presto. Il secondo invece, ben fatto, aggressivo, vive più a lungo. E non lesina attacchi al “vecchio” AGB che ogni domenica, sul “Tirreno”, fondopagina in prima, tiene una rubrica seguitissima, “5 minuti di fermata 5” e all'inizio si firma “Il Capostazione” (…).

Fra i duelli e il giornale

Guido Vivarelli ora è redattore capo della “Gazzetta”, e quando noi cronisti in erba gli chiediamo del suo duello lui ride (...) «Fu facilissimo», risponde. «Rimasi in guardia con il ferro teso. E Banti, che era uno scatenato, c'infilò il braccio». Lo scatenato AGB aveva vinto una trentina di duelli. Al “Nuovo Giornale” aveva fatto allestire una sala di scherma con tanto di maestro, e obbligava i suoi giornalisti a frequentarla per essere in grado di rispondere alle offese. Ogni giornalista che si batteva in duello riceveva un notevole rimborso spese. E così, a fine mese, era fatale che i suoi redattori, per arrotondare lo scarso stipendio, attaccassero briga per scendere sul treno e riscuotere il rimborso. A me, che mi voleva bene, AGB narrò un giorno del duello avuto con un avversario, di mattina presto, nel giardino di una villa all'Ardenza. Era inverno. Il proprietario viveva a Roma e il custode aveva ospitato lo scontro ottenendo una cospicua mancia. Nel pomeriggio AGB aveva un secondo duello e tornò nel medesimo giardino. Seconda mancia. Salutandolo con un inchino, il custode disse ad AGB: «Grazie, grazie, commendatore illustrissimo: torni presto».

Quando nel novembre '47, i lettori del “Tirreno” trovano all'interno delle loro copie i volantini propagandistici del quotidiano comunista, AGB lo scrive e lo denuncia. Direttore della “Gazzetta” è il prof. Umberto Comi. E AGB qualche giorno dopo pubblica: «Dobbiamo dare atto al professor Comi della cortese premura con cui, non potendo negare quel che avevano fatto i suoi zelatori, dichiarò sciocco e cafonesco il loro operato» (....).

Lo scontro con la Gazzetta

La Gazzetta contrasta con ogni mezzo lecito e no la vita del giornale di AGB, arrivando ad accusarlo di ricevere i finanziamenti dalla destra, lei che dipende economicamente e politicamente da via delle Botteghe Oscure, tanto è vero che quando il sostegno le verrà a mancare chiuderà i battenti. Il Banti considera infamante questa accusa, spesso ripetuta e mai provata. E il 28 gennaio 1949, quattro anni dopo il suo arrivo a Livorno, scrive: «Le ragioni della diffusione del Tirreno sono elementari. Avevamo promesso al pubblico che il nostro sarebbe stato un giornale di informazione, indipendente da tutto: uomini politici, gruppi, interessi, partiti: e indipendenti siamo rimasti, nonostante i tempi difficili». AGB è rimasto il moschettiere decorato con la medaglia d'argento nella Grande Guerra. E il moschettiere di tante battaglie e duelli convince Emilio Gragnani, critico musicale del Tirreno, a sfidare Umberto Comi.

Offeso e ingiuriato da una lettera del direttore della Gazzetta, in seguito alla velenosa polemica accesa dopo la morte di Mascagni nel '45, rinfocolata sei anni dopo in occasione del trasporto della sua salma a Livorno decisa del Comune (di sinistra), Gragnani manda i padrini a Comi. Il duello viene combattuto il 7 luglio 1951 nella Villa Orlando sul lago di Massaciuccoli. Alla sciabola. Il sottoscritto è tra i pochi che vi assiste, nascosto tra le piante del parco, insieme ai maestri dei due avversari, Bino Bini e Athos Perone, ad Athos Tanzini olimpionico di Berlino 1936, e a Giorgio Pellini olimpionico di Londra 1948. Molti anni dopo descriverò il duello con un pezzo dal titolo “Duello per Mascagni” sul lago di Puccini. Gragnani e Comi in pochi giorni hanno appreso qualche rudimento della scherma. Gragnani non sa fare nemmeno il passo indietro. Fortuna che lo scontro è diretto da Aldo Montano, due volte campione mondiale di sciaboIa. Banti, che si è fermato in un caffè a Torre del Lago, convince gli avversari, dopo qualche ora, a darsi la mano: «Io mi sono sempre riconciliato dopo tutti i duelli che ho sostenuto. Il duello fa pulizia di tutti i torti, arrecati e subiti. La lealtà lo vuole».

La dote della lealtà

Ecco: la lealtà era la dote più forte di AGB. Ma il destino non fu leale con lui. Ricorda Dino Provenzal: «Sposò giovanissimo una fanciulla teneramente amata, ella morì dando alla luce una bambina. Athos serbò la più affettuosa memoria della sposa e dedicò tutto se stesso all'educazione della figliola Luciana, che andò sposa a Pietro Alli Maccarani e aveva già un bambino quando tragicamente morì. Da quel momento, Athos visse col genero e il nipotino. Una malattia inesorabile colpì il nipote e lo uccise. E un'altra inaspettata sventura gl'incombeva: la morte del genero, compagno della sua vita e della sua disperazione. A quest'ultimo colpo non poté sopravvivere, e la morte giunse, attesa, invocata, liberatrice, il 21 giugno ’59.

La cerimonia

Oggi il Comune gli intitola una sala dell’emeroteca

Oggi alle 11,30, in occasione del centenario della nascita di Aldo Santini, il Comune gli intitola la sala di lettura dell’emeroteca comunale di via del Toro. È da ricordare che al giornalista livornese (in servizio al Tirreno, all’Europeo e a Oggi), scrittore di una lunghissima serie di libri dedicati alla “sua” Livorno, Palazzo Civico aveva già reso omaggio nel 2011, per iniziativa del sindaco Alessandro Cosimi e dell’assessore alla cultura Mario Tredici, assegnandogli la “Livornina d’oro”, massima onorificenza cittadina: alla cerimonia interverranno l’assessore Simone Lenzi, familiari e colleghi di Santini.

È da ricordare anche che dieci anni fa la famiglia di Aldo Santini ha donato al Comune un ricco patrimonio di materiali bibliografici, documentari e foto che Santini custodiva nel suo studio. In questa pagina proponiamo un pezzo scritto da Aldo Santini per rievocare la ripresa delle pubblicazioni del nostro giornale nel gennaio ’45 con il nuovo nome di “Tirreno” per segnare il distacco dal “Telegrafo” dei Ciano.

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