Alessia Pifferi, cancellato l’ergastolo: ridotta a 24 anni la pena per aver fatto morire di stenti la figlia
La sentenza della Corte d'Assise d'appello di Milano ha infatti ridotto la pena a 24 anni di carcere, con l'esclusione dell'aggravante dei futili motivi
Niente ergastolo per Alessia Pifferi, la 40enne che nell'estate del 2022 ha abbandonato la figlia di 18 mesi da sola in casa per una settimana, trovandola morta di stenti al suo ritorno. La sentenza della Corte d'Assise d'appello di Milano ha infatti ridotto la pena a 24 anni di carcere, con l'esclusione dell'aggravante dei futili motivi. Tutto il contrario del processo di primo grado, quando la donna era stata ritenuta colpevole di omicidio volontario aggravato da futili motivi e da vincolo di parentela (con l'esclusione delle attenuanti generiche e dell'aggravante della premeditazione) e per lei era stato stabilito il massimo della pena.
L'accusa: «La figlia era in condizioni disumane»
«Pifferi ha lasciato la figlia in condizioni disumane», era stata la requisitoria dell'accusa in aula, che aveva chiesto il massimo della pena. «La bambina ha sofferto per cinque giorni e mezzo nel caldo di luglio a Milano, senza cibo, acqua, aria condizionata e con le finestre chiuse». E ancora. «È difficile accettare che una madre possa decidere che non le importi niente della persona che lei stessa ha generato. Per noi è difficile da accettare che una persona in grado di intendere e di volere possa fare una cosa del genere, perché abbiamo ben due perizie che confermano la piena e totale capacità di intendere e di volere». Alessia Pifferi, infatti, è stata in ambedue i procedimenti penali ritenuta pienamente in grado di intendere e di volere al momento dei fatti: quella recentemente disposta dalla Corte, e affidata ai periti Giacomo Filippini, Stefano Benzoni e Nadia Bolognini, ha infatti dichiarato l'imputata pienamente capace di intendere e di volere confermando in sostanza quanto emerso nella precedente analisi curata dal perito Elvezio Pirfo.
Le perizie contrapposte
Tesi sostenuta anche dalla psicologa Roberta Bruzzone, consulente delle parti civili (madre e sorella di Pifferi), ma contestata dal professor Pietro Pietrini, consulente della difesa, secondo il quale la 40enne sarebbe affetta da «un disturbo del neurosviluppo di tipo intellettivo» (e perciò da un vizio parziale di mente), visibile dai pessimi risultati scolastici e dall'episodio del parto avvenuto nel bagno di casa del compagno completamente all’oscuro di quella gravidanza.
La difesa: «Pifferi racconta bugie da bambina»
«Alessia Pifferi ha fatto una cosa orribile, ma Alessia Pifferi è una ritardata mentale, perché tutti i test ci dimostrano questo», ha ribadito l'avvocata Alessia Pontenani nel corso della sua arringa difensiva, portando avanti la teoria del deficit mentale. «Aveva problemi fin dall’infanzia, viene definita portatrice di handicap, è un vaso vuoto. Tutti i test effettuati ci dicono che non ragiona, non riesce a trovare soluzioni alternative. Non è una persona normale, non è come noi. Racconta le bugie di una bambina».
