Referendum 2025, l’affluenza basterà a raggiungere il quorum? Cosa ci dicono i confronti con il passato
Alle urne si vota su cinque quesiti abrogativi, ma l’affluenza delle prime ore è inferiore a quella del 2011. Il confronto con il passato suggerisce uno scenario incerto: si ripeterà il flop del 2022 o ci sarà una sorpresa?
L’affluenza alle urne tra domenica 8 giugno e lunedì 9 giugno sarà sufficiente a raggiungere il quorum? A meno di non indossare fantasiose lenti che scrutino nel futuro una risposta - al momento - non è possibile darla. Ma c’è un dato al quale guardare che può dire qualcosa sulle chance dei cinque quesiti referendari di oltrepassare la soglia del 50% più uno dei votanti. Ed è quello del 2011. Vediamo perché.
La differenza tra l’affluenza del 2011 e l’affluenza di oggi
L’ultimo dato utile per un confronto arriva dal 2011, quando il Paese si espresse su acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento. Allora, l’affluenza superò il 57%, spinta da una forte mobilitazione sociale. È stato uno degli ultimi casi in cui il quorum del 50%+1 degli aventi diritto è stato raggiunto. Dopo di allora, la tendenza è stata in calo: nel 2022, sui quesiti legati alla giustizia, si recò alle urne appena il 20,9% degli elettori.
Nel 2011, come nei referendum attuali, i referendum abrogativi furono si tennero su due giornate (il 12 e il 13 giugno). Ed è qui che i dati possono diventare le nostre lenti per scrutare nel futuro. Il dato sull’affluenza alle 12 nel 2011 era decisamente più alto rispetto all’oggi: alla stessa ora quattordici anni fa aveva votato l’11,6% degli aventi diritto, contro il 7,4% registrato oggi.
Alle 19 la forbice tra i due dati si è allargata ancora. Se nel 2011 aveva votato il 30,3% degli aventi diritto, alla stessa ora odierna il dato nazionale è fermo al 15,88%. Un calo netto.
Il dato delle 19, ancor più di quella delle 12, non induce certo all’ottimismo chi spera che i cinque quesiti riescano a raggiungere il quorum anche questa volta; anche se proiezioni e analogie stile “carta carbone” non sono ovviamente del tutto possibili tra le due occasioni di voto. Diverso l’entusiasmo e la mobilitazione (nel 2011 ci fu un grande lavoro dei comitati, imparagonabile al pur importante impegno di quest’anno), diverso il quadro politico.
Il primo referendum e la situazione odierna: partecipazione in calo
Dal referendum del 1946, che decise tra monarchia e Repubblica, a oggi, gli italiani sono stati chiamati alle urne per ben 78 consultazioni referendarie. Eppure, se in passato la partecipazione era alta – basti pensare a quell’89,1% che nel 1946 scelse la Repubblica – oggi l’entusiasmo per il voto referendario sembra affievolito, mettendo a rischio uno dei cardini della democrazia diretta: il quorum.
Il quadro storico è chiaro: dei 67 referendum abrogativi celebrati dal dopoguerra a oggi, ben 28 non hanno raggiunto la soglia minima. E se le grandi battaglie civili del passato – come il divorzio nel 1974 o l’aborto nel 1981 – trascinavano milioni di cittadini alle urne (oltre il 77% di affluenza in entrambi i casi), oggi la distanza tra cittadini e urne si fa più evidente.
Speranza o timore: tutto passa dalla partecipazione
Con questa premessa, la domanda sorge spontanea: l’attuale tornata referendaria riuscirà a mobilitare abbastanza elettori da superare il quorum? Oppure si aggiungerà alla lista delle consultazioni senza esito, come accaduto negli ultimi anni? I numeri delle prime ore non sembrano promettere bene riguardo al raggiungimento del quorum, ma sarà solo lo spoglio finale a dare il verdetto. Intanto, il confronto con il 2011 resta il punto di riferimento più recente per sperare – o temere – il ritorno di una partecipazione civica che al momento appare lontana.