Il Tirreno

Il ricordo

Carretta, morto il killer che sterminò la sua famiglia: «Così lo feci confessare in tv»

di Pino Rinaldi
Carretta, morto il killer che sterminò la sua famiglia: «Così lo feci confessare in tv»

Scomparso Ferdinando Carretta, nel 1989 uccise i genitori e il fratello. Il giornalista Pino Rinaldi ricorda la confessione-scoop in tv

02 giugno 2023
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È morto a Forlì, dove viveva da quando era tornato in libertà, Ferdinando Carretta, che nel 1989, a Parma, uccise i genitori e il fratello. Venne rintracciato solo nove anni dopo, quando si era trasferito in Inghilterra. Carretta aveva 61 anni e abitava appunto a Forlì, in una casa che aveva acquistato con l'eredità della famiglia. Lavorava per una cooperativa sociale e, a quanto si è appreso, era malato da tempo. Ferdinando Carretta uccise nella casa di famiglia i propri genitori e il fratello minore quando aveva 27 anni. Successivamente scappò nel Regno Unito. Confessò in pubblico il suo reato durante un'intervista televisiva nel novembre 1998. Riconosciuto incapace di intendere e di volere al momento del delitto, Carretta fu condannato alla detenzione in un carcere psichiatrico giudiziario. In semilibertà dal 2004, tornò in libertà completa nel 2015. Il programma televisivo “Chi l'ha visto?” ebbe un ruolo importante nelle indagini e nella risoluzione del caso: fu infatti grazie a una segnalazione da esso rilanciata alle forze dell'ordine che il veicolo della famiglia fu ritrovato a tre mesi dalla scomparsa dei suoi membri e fu a un giornalista della trasmissione Rai, Pino Rinaldi, che, nel 1998, Ferdinando Carretta rilasciò la sua dichiarazione di colpevolezza prima ancora di renderla al pubblico ministero. Ed è proprio lui, oggi, a raccontarci quell’incontro.

Ferdinando da qualche tempo stava male, io lo avevo sentito due mesi fa. È morto da solo nella sua casa di Forlì. Durante questi anni ci siamo sentiti parecchie volte. Lo conobbi tanti anni fa, era una sera di novembre.

Per quanto mi riguardava la vicenda dei Carretta me l’ero messa alle spalle, dopo essere partito dietro alle bugie, ai falsi scoop e alle fake news che davano la famiglia Carretta ricca e felice nel Centro America. Io tracce dei Carretta non ne trovai al contrario di quello che scrivevano sui giornali. Ed ebbi il coraggio di dirlo. Mi ricordo che per questa ragione quando tornai in Italia fui un po’ sbeffeggiato dall’autore del programma tv per cui lavoravo, all’epoca ero un inviato di “Chi l’ha visto?”. Diciamo che di quella storia non ne volevo sapere più niente. Poi invece una mattina fui chiamato: «Guarda, devi partire subito per Londra, già ci sono lì tutti quanti gli altri giornalisti». Mi ricordo che arrivai per ultimo, la sera tardi, insieme al mio operatore Gianlorenzo Gregoretti. Citofonammo, ci aprì e ci fece entrare nella sua casa.

Ci raccontò quello che aveva detto alla polizia e agli altri giornalisti e cioè che lui aveva lasciato l’Italia con i genitori e il fratello, che erano andati a Londra e lì, a Londra, avevano litigato e si erano divisi: lui era rimasto in Inghilterra mentre gli altri erano partiti per una località a lui sconosciuta. Parlammo ancora del più e del meno. Prima di salutarlo gli proposi di fare un appello. Ero stato l’anno prima in Spagna e avevo conosciuto l’autore del “Chi l’ha visto?” spagnolo. Sapendo che la trasmissione televisiva copriva anche il Sud e il Centro America chiesi a Ferdinando se avesse voluto lanciare un appello ai suoi genitori. Mi disse di no. Allora gli chiese se mi autorizzava a farlo. Disse ancora di no. Insistetti e gli dissi: «Va bene che ci hai litigato ma ormai sono passati più di 10 anni, adesso è Natale e non ti andrebbe di rivedere tua madre, tuo padre e tuo fratello? Se fai loro un appello o se mi permetti di farlo a tuo nome, potresti incontrarli di nuovo».

Ferdinando mi ascoltava con attenzione poi abbassò gli occhi per qualche secondo e successivamente li rialzò. Aspettò un paio di secondi ed esclamò: «E se loro non potessero ascoltarlo?». Quel “non potessero” mi fece capire tutto. Feci finta di niente ma iniziò qualcosa che durò sino alle tre di notte, fino a quando Ferdinando mi raccontò tutto. Che li aveva uccisi, che mise i corpi dentro la vasca da bagno, che li caricò in macchina per poi seppellirli. Ci fu un particolare che mi fece capire che quello che mi stava raccontando era vero. Quando mi parlò dell’odore: «Hai presente l’odore della morte?». Capii che quello che mi aveva detto era tutto terribilmente vero.

Passammo i giorni successivi a Londra. La cosa più importante che capii era proprio che lui durante quegli anni passati a nascondersi, li aveva vissuti come se fosse stato in carcere. E lui in galera ci si era messo da solo. Una casa che sembrava una cella. Mai un pranzo caldo, solo scatolette. Mi disse che per quasta ragione lo chiamavano “tin Man”, uomo scatoletta. E me lo confidò il giorno che lo portammo a mangiare in un ristorante: «Sai, non mangiavo un piatto caldo da più di 10 anni». E dopo 10 anni aveva avuto il coraggio di parlare con qualcuno e raccontare, più precisamente confessare, qualcosa di terribile. E tutto questo mi preoccupava perché vedevo che soffriva e in certi momenti cercavo di frenarlo. Era come se una diga si fosse rotta e io mettevo qualche paletto perché pensavo: qua crolla tutto.

La mia paura era che Ferdinando facesse una sciocchezza. Nei giorni successivi diventò un po’ più sereno e fu allora che gli proposi di tornare in Italia e consegnarsi alla giustizia. La sera lui mi disse: «Ok, torniamo in Italia». Fu allora che Ferdinando mi rilasciò quella lunga intervista dove raccontò quello che aveva fatto. Durante quei giorni non girai un solo centimetro di nastro, Non lo registrammo di nascosto. In quel filmato qualcuno disse che era freddo. Nessuna sa, infatti, quello che accadde a telecamere spente. Io e Gianlorenzo, l’operatore, dovemmo rassicurarlo continuamente, perché piangeva come un disperato e non si fermava.

Tornato in Italia, confessò tutto e finì in un ospedale psichiatrico. Poi in un casa famiglia e quindi sottoposto a regimi in cui aveva il dovere di rispettare tempi e regole.

Nel marzo scorso Ferdinando aveva saputo che il Tribunale di sorveglianza lo aveva ritenuto non più pericoloso socialmente e di conseguenza gli aveva revocato la misura della libertà vigilata. Ferdinando Carretta era dunque un uomo libero. I conti con la giustizia li aveva chiusi, ma non quelli con la sua coscienza. Da quello che ne so io, durante questi anni non c’è stato un solo giorno in cui il suo pensiero non è andato alla madre, al padre e al fratello. Per chi ci crede ora Ferdinando potrà chiedere loro di perdonarlo. E potrà davvero diventare un uomo libero.  l

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