Il Tirreno

Grosseto

Il caso

Grosseto, lei gli offre una casa e un lavoro: lui la “ripaga” picchiandola (anche con un mattarello)

di Pierluigi Sposato
Grosseto, lei gli offre una casa e un lavoro: lui la “ripaga” picchiandola (anche con un mattarello)

L’uomo condannato per maltrattamenti: pena di 3 anni per le violenze fisiche e verbali

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GROSSETO. Lei voleva che lui si trovasse un lavoro vero, che smettesse di spacciare; gliel’aveva anche trovato, un impiego in campagna. Aveva talmente tanta fiducia in lui che l’aveva preso in casa, lui che dormiva in un capannone abbandonato, e addirittura l’aveva accolto con sé quando lui era stato messo ai domiciliari, dopo essere stato arrestato per droga. Una fiducia mal riposta: lui si era dimostrato violento, verbalmente e fisicamente, al punto che l’aveva picchiata con un mattarello.

Non si era inventata niente lei, come aveva cercato di far capire lui quando era stato arrestato a maggio dopo che si era presentato a casa contro il consenso della donna. Non sono servite le scuse scritte in una lettera spedita dal carcere. L’uomo, uno straniero poco più che trentenne, è stato riconosciuto colpevole di maltrattamenti in famiglia e condannato (con la riduzione prevista dal rito abbreviato) a tre anni.

L’odissea della donna, che non si è costituita parte civile, era partita negli ultimi mesi del 2024. Lei sapeva che lui spacciava e proprio per questo erano iniziate le prime discussioni: lui spiegava che non c’era altro modo per sbarcare il lunario, lei replicava che un’altra strada era possibile, lui prometteva, lei gli concedeva un bonus di credibilità.

Poi tutto ricominciava da capo. E quando verso novembre lei gli aveva detto che gli aveva trovato un lavoro in agricoltura, lui aveva dato in escandescenze: prima le offese, poi gli spintoni. Lei non aveva denunciato nulla, né in quella né nelle altre situazioni simili. Lui poi era stato arrestato, per spaccio. Lei lo aveva ospitato a casa, per i domiciliari. Lui era poi sparito: qualche giorno dopo era stato di nuovo arrestato. Prima in via Saffi, poi a Firenze: e lei era andato a trovarlo spesso. Finalmente era stato scarcerato, ai primi di marzo. Ed erano ricominciate le promesse e gli attestati di fiducia. Ma anche le discussioni. E al termine di una di queste lei si era fatta ridare le chiavi di casa. Erano ripartite le violenze verbali: poi quella volta lui aveva preso il mattarello, l’aveva colpita anche quando lei si era rifugiata in camera da letto, alle gambe e sui piedi. Nemmeno in questo caso lei l’aveva denunciato. Lui non aveva più le chiavi ma una mattina lei se l’era ritrovato in casa: aveva scavalcato una finestra.

La convivenza era poi ripresa, ma lui non le avrebbe permesso di uscire nemmeno per andare a fare la spesa. Una violenta discussione era nata quando lui una sera era tornato a casa con un motorino, in uso per qualche giorno – come aveva detto lui – da un cliente che doveva pagare della droga. Era ripartita la lite, lui aveva preso una mazza da baseball, minacciando di usarla; poi le botte, ancora sulle gambe, con una bottiglia di vetro, rotta al culmine del litigio e portata da lui al viso di lei («Se non la fai finita ti ammazzo»).

Se n’era andato un’altra volta ma una mattina lei se lo era ritrovato accanto al letto: a quel punto, impaurita, aveva chiamato il 112. E da qui era partito il procedimento penale, per maltrattamenti e anche per le ferite (dieci giorni di guarigione): era il maggio scorso. La Procura aveva chiesto una misura cautelare, il Tribunale l’aveva messo in carcere, dove è ancora adesso. Assistito dall’avvocata Sabrina Pollini, ha partecipato all’udienza al termine della quale il giudice Giuseppe Coniglio ha accertato le sue responsabilità. Il sostituto procuratore Giampaolo Melchionna aveva chiesto tre anni e quattro mesi.

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