Omicidio del corriere in Maremma, il movente: «La fame di soldi». I nomi in codice e quel dettaglio (decisivo) sull’assicurazione
In Corte di assise la lunga ricostruzione dei giorni del maggio e giugno 2024: fra intercettazioni, riscontri e tracciati gps
GROSSETO. Klodjan Gjoni aveva debiti per droga, debiti per diverse migliaia di euro. Debiti li aveva anche Ozgur Bozkurt, anche perché doveva mantenere due famiglie. Ed Emre Kaia era sempre alla ricerca di soldi, come ammetterà lui stesso. Eccolo, almeno così come è stato raccontato dal luogotenente dei carabinieri Giampiero Bagnati, fino all’anno scorso alla sezione di polizia giudiziaria in Procura, il movente della rapina delle borse Gucci e dell’omicidio di Nicolas Matias Del Rio, il corriere argentino 40enne trovato morto in un pozzo in una frazione di Arcidosso, a Case Sallustri, il 29 maggio 2024. Una rapina messa a segno il 22 maggio precedente.
Il primo testimone
Il sottufficiale, ascoltato come primo testimone dell’accusa davanti ai giudici della Corte di assise, ha spiegato minuziosamente – aiutandosi con la proiezione di ben 337 slide - i dati salienti delle indagini che avevano portato all’identificazione dei tre uomini finiti sotto processo per l’omicidio che seguì la rapina delle borse per un valore di 500mila euro. Mappe, immagini, fotogrammi da telecamere di sorveglianza, tabulati telefonici, analisi dei tracciati gps, orari, deduzioni, intuizioni, confronti, riscontri. Indagini che avevano coinvolto l’Arma a tutti i livelli, dalle stazioni di Piancastagnaio ed Abbadia fino al Nucleo investigativo di Grosseto. Tutto proiettato sullo schermo allestito nell’aula. Bagnati ha spiegato come si era arrivati all’identificazione dei tre uomini, partendo dai video e dalla visione delle auto e dei furgoni riconducibili agli imputati e ritenuti coinvolti nelle operazioni criminose.
La telecamera
Determinante quella telecamera privata in località Rondinelli - non distante dal luogo in cui venne poi ritrovato bruciato il furgone della New Futura utilizzato da Del Rio per il trasporto di quel giorno, il suo ultimo trasporto. Si vede una Panda di colore giallo. È quella che poi le indagini scopriranno essere in uso a Gjoni: il cittadino albanese fu il primo sospettato, anche e soprattutto perché lui era (e lo è ancora) imputato per un furto di cento borse da portare alla sede di Scandicci, risalente al 2019. I carabinieri avevano messo a confronto quelle immagini con quelle del sistema Targamanent riscontrando tre punti caratteristici nella carrozzeria: l’auto era quella.
Il gps e l’assicurazione
Altro elemento sospetto è che Gjoni quel giorno non si era presentato al lavoro e al telefono non aveva risposto fino al 24. Da quelle immagini della telecamera privata era stato notato anche un furgone: un Ducato con doppia cabina alla guida del quale Bozkurt era stato fermato nel 2018. Successivi accertamenti avevano condotto a Kaia. Altri approfondimenti avevano portato a ricondurre anche un Nissan pickup a Gjoni, in particolare al padre di lui. Non si scappa alla tecnologia. Perché quel sistema gps che Gjoni aveva acconsentito che la compagnia assicuratrice installasse sulla propria auto in cambio di uno sconto sulla polizza Rca aveva registrato minuto per minuto gli spostamenti, in quello e nei giorni successivi: «Coincidenza assoluta», ha detto Bagnati, tra immagini e gps. Anche quello installato sul Nissan.
Gli orari
Coincidenze anche nei minuti in cui i telefoni di tutti e tre erano risultati spenti: dalle 17,28 alle 17,52, i minuti in cui dovrebbe essere avvenuto l’omicidio, dalle 22,12 alle 22,52, i minuti in cui il cadavere dovrebbe essere stato occultato. I tabulati avevano dato altri riscontri. Ventidue giorni prima della rapina, Gjoni aveva scambiato dei messaggi con il presunto creditore delle sostanze stupefacenti: «Oggi parlerò con due ragazzi» aveva scritto; «Borse?» era stata la risposta. E ancora: nella notte tra il 22 e il 23 maggio, tornati a casa dopo tutte le operazioni e tutti i giri, Bozkurt e Kaia avevano cambiato i telefoni, inserendo le proprie sim in altri apparecchi. E infine: il custode di Casa Sallustri era il padre di Gjoni, Nico. Quando la rapina? Tra le 17,04 e le 17,08. La Panda era alle 17,21 a Case Sallustri: qui sicuramente era stato portato Del Rio, perché una sua traccia biologica era stata trovata su un gradino della scala retrattile che porta al sottotetto. L’uccisione di Del Rio tra le 17,28 e le 17,53. L’occultamento del cadavere nel pozzo potrebbe essere avvenuto tra le 22,12 e le 22,52 del 29 maggio perché questo è l’altro intervallo di tempo ritenuto significativo, in cui tutti e tre telefoni erano rimasti muti.
La ricostruzione dei carabinieri è stata molto più che dettagliata, a partire dal primo allarme, e cioè la telefonata di Sergio Pasquale De Cicco, il titolare della New Futura, che aveva capito (dopo aver effettuato alcune verifiche e aver intuito che il sedicente Goni che aveva chiesto il passaggio aveva raccontato frottole sulla propria identità e sulla ditta) che qualcosa di sospetto stava avvenendo su quel furgone senza gps che Del Rio per la prima volta guidava da solo, dovendo compiere un tragitto breve: le 16,56.
Il giorno dopo era seguita la denuncia di scomparsa da parte di Alexandra, la moglie. E poi tutti i riscontri incrociati tra telefonate, gps, telecamere. Tutti i passaggi della Panda e del furgone da e verso il luogo in cui venne ritrovato bruciato il furgone; da e verso Case Sallustri; dentro Arcidosso e Castel del Piano; riscontri effettuati anche attraverso la dashcam di un bus che aveva ritratto la Panda prima che Gjoni (Goni) salisse sul furgone del corriere; riscontri con le dichiarazioni della turista tedesca che aveva dato i tempi per il furgone bruciato a una delle porte di ingresso del Piano faunistico; riscontri sulle conversazioni telefoniche tra Pablo Escobar e Alì Babà, così come Gjoni e Bozkurt si erano salvati sulle rispettive rubriche. Un lungo racconto. Il 29, alla prossima udienza, il controinterrogatorio.
