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I castori ora vivono nell’Ombrone ma Ispra e Ministero non li vogliono: chi li ha liberati non era autorizzato

di Matteo Scardigli
I castori ora vivono nell’Ombrone ma Ispra e Ministero non li vogliono: chi li ha liberati non era autorizzato

Ricomparsi dopo mezzo secolo, veglia su di loro un ricercatore maremmano. Le loro dighe hanno combattuto la siccità, adesso ci si muove per eradicarli

02 ottobre 2023
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GROSSETO. Sono due anni che se ne parla, da quando furono avvistati per la prima volta. L’Ordine dei dottori agronomi e dottori forestali di Siena promosse anche un convegno dal titolo “La ricomparsa del castoro nel centro Italia: motivo di preoccupazione o grande opportunità?”. Oggi arriva finalmente una risposta, che tuttavia aggira il dilemma affrontando la questione non dal punto di vista ambientale/naturalistico, come ci si potrebbe aspettare, bensì freddamente burocratico.

L’immaginario collettivo lo colloca nei grandi fiumi del Nord America e del Canada, intento a edificare dighe dalla tenuta perfetta: un ingegnere idraulico da fare invidia agli antichi Romani. Ma il castoro in realtà sarebbe di casa anche da noi. Il Castor fiber, mammifero semiacquatico, in Europa è stato oggetto di una caccia indiscriminata che lo ha portato sull’orlo dell’estinzione sia per la sua pelliccia che per il castoreo, una secrezione delle sue ghiandole che ancora viene impiegata come medicamento.

L’eccezionale scoperta scientifica rappresentò il frutto di una lunga ricerca condotta da due tecnici faunistici freelance (Davide Senserini, grossetano, esperto di fauna selvatica, e la collega senese Chiara Pucci) insieme all’aretino Giuseppe Mazza, del Consiglio per la ricerca in agricoltura, e a Emiliano Mori, originario di Prata (comune di Massa Marittima), ricercatore del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr).

Il castoro è ancora oggi inserito fra le specie protette indicate dalla Direttiva comunitaria 92/43/Cee (la “direttiva habitat”). Ci si aspetterebbe, quindi, che il suo ritorno lungo le acque dell’Ombrone – oramai da due anni abbondanti a questa parte – sia da considerare un aspetto positivo. Tra i più ferventi sostenitori di questa posizione c’è senza ombra di dubbio Mori, ricercatore del e primo a fotografare gli esemplari sul fiume, grazie alle segnalazioni inoltrate al tempo dagli agenti della polizia provinciale di Siena Stefano Morelli e Filomena Petrera.

«Sul territorio di Grosseto i castori si concentrano lungo l’Ombrone alla confluenza con il Merse ma anche in zona Buonconvento. Che abbia il “passaporto” europeo (e non americano) lo abbiamo riconosciuto dalla genetica. Stimiamo che gli esemplari siano, nel complesso, una cinquantina distribuiti fra Toscana e Umbria», premette Mori.

Nel 2023 castoro viene reintrodotto in tutta Europa, specialmente nella Penisola scandinava. Diverse migliaia di esemplari vivono oggi nell’Elba, nel Rodano, nel Danubio e in alcune parti della Scandinavia. Ma anche in Baviera, Paesi Bassi e Svizzera: qui ce ne sono poco meno di 400, tutti discendenti dei 140 liberati fra il 1958 e il 1977 con l’intento di creare varie colonie. In Galles e Scozia sono in corso programmi di reintroduzione, mentre da noi si va nella direzione inversa.

«Non c’è nessuna allerta castori, nessun allarme», precisa Mori, che poi spiega: «Il ministero dell’Ambiente e Ispra chiedono la rimozione semplicemente perché i rilasci (uno a Civitella Marittima e l’altro a Sanseplocro, più o meno contemporanei ma non collegati) che hanno riportato da noi questi animali nel fiume non furono autorizzati: probabilmente si trattò di rilasci accidentali o di proprietari che se ne liberarono in natura».

Andata com’è andata, secondo il ricercatore il ritorno del roditore ha portato solo effetti positivi e altri potenziali ne avrebbe in serbo: «Dal monitoraggio congiunto fra il Cnr e l’inglese Beaver Trust risulta che l’impatto dei castori è stato benefico per l’ambiente in termini di biodiversità: le dighe che hanno costruito, durante lo scorso anno caratterizzato da forte siccità hanno creato degli invasi naturali dove molti altri animali hanno potuto abbeverarsi».

I roditori si sono quindi riappropriati di quello spazio ecologico che fu dei loro progenitori. E prosperano, ma con moderazione. «Il castoro, al contrario di altre specie, è monogamo. E, a differenza del topo, non prolifera: la femmina dà alla luce pochi cuccioli, che per altro sono soggetti a un tasso di mortalità giovanile molto elevata», conferma ancora Mori, sottolineando quella che al momento è una curiosità scientifica: «Il castoro avrebbe un predatore naturale che è il lupo. In questi anni ci saremmo aspettati una predazione, come avviene in Polonia, ma non c’è stata e non sta avvenendo; ce ne ha dato conferma Lorenzo Lazzeri dell’università di Siena. Probabilmente – ipotizza – è perché il lupo “non si ricorda più” che il castoro fa parte della sua dieta o che sapore ha».

Ma c’è ancora un aspetto da evidenziare sul ritorno del roditore, e che potrebbe rappresentare – nel suo piccolo – il proverbiale volàno per l’economia del territorio tanto spesso auspicato dagli amministratori locali di ogni dove: «Nel mondo ci sono moltissime persone interessate al turismo del castoro. Da noi si tratta di una nicchia ancora inesplorata».

Lo ben sanno gli svizzeri, i nipoti dei pionieri che intuirono le potenzialità delle colonie di roditori. Specialmente gli abitanti di Rüdlingen, paesino di 736 anime del Canton Sciaffusa che ospita il “Sentiero del castoro del Wwf”: ambita meta del turismo familiare.

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