Il Tirreno

Grosseto

Il racconto

Uccide la compagna a coltellate nella sera dell’anniversario: «Silvia mi sputò dopo avermi offeso. E in quel momento persi la testa»

di Pierluigi Sposato
Uccide la compagna a coltellate nella sera dell’anniversario: «Silvia mi sputò dopo avermi offeso. E in quel momento persi la testa»

Grosseto, Nicola Stefanini ricostruisce in aula le ultime ore di vita della compagna: «Lei voleva la droga per concludere la serata»

23 marzo 2023
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GROSSETO. «Avevamo cenato bene, lei voleva finire in bellezza, voleva comprare un po’ di “roba”. Io non volevo, l’indomani sarei dovuto andare al lavoro. Ma lei insisteva, mi offendeva, mi ha anche sputato. Allora ho perso il cervello e ho tirato fuori il coltello…»

Tutti gli occhi sono puntati su di lui, anche quelli degli agenti della polizia penitenziaria. E non può essere diversamente. Nicola Stefanini, 50 anni il prossimo giugno, originario di Saline di Volterra, parla di fronte alla Corte di assise e ricostruisce le ultime ore di via della sua compagna, Silvia Manetti, 45 anni, di Altopascio, da lui uccisa con sedici coltellate nel Fiat Doblò fermo sulla strada di ritorno a Monterotondo Marittimo, la sera dell’11 agosto 2021. Le ultime ore e anche le ultime parole di lei: «Ma cosa hai fatto, amore?». E vengono i brividi a sentirgli raccontare la loro storia, che è anche una storia tossica, di sballo e di lavoro, di litigi e di amore, di complicità e di smarrimento. Doveva essere una serata di festa, per celebrare i tre anni di convivenza: la cena al ristorante a Gavorrano, una bottiglia di vino, due chiacchiere e poi a casa. «Ma lei subito dopo essere uscita dal locale voleva comprare la droga – dice Stefanini, seduto, con le gambe che si muovono nervose – Io non volevo, il giorno dopo dovevo andare al lavoro, non ce l’avrei fatta. Lei insisteva: “sei il solito stronzo, vuoi fare come ti pare”. E continuava, mi dava del bastardo. A Scarlino sono sceso per prelevare 100 euro al bancomat, poi siamo andati a cercare gli spacciatori», lungo la strada verso casa. «Sono sceso ma non ero convinto, ho chiamato, ma a voce bassa invece di urlare come si faceva sempre, sono rientrato nell’auto, le ho detto: “hai visto? Non c’è nessuno?”. E Silvia ha detto che allora ci sarebbe andata lei. E io: “Ma dove vai? Vestita così, da festa? No, no”. Quando lei ha fatto per aprire lo sportello io le sono salito sopra a cavalcioni per fermarla. Lei ha continuato a insultarmi, poi mi ha sputato in faccia… E io ho capito quello che avevo fatto soltanto quando ho visto il sangue… Ho chiamato il 118. E volevo morire», dice mettendosi le mani sul volto.


Il pm Giampaolo Melchionna vuole sapere di più sulla droga. E dalle parole del femminicida esce un quadro di un consumo smodato e continuo di sostanze stupefacenti, di tutti i generi, anche pesanti. «Canne tutti i giorni. Finivo il lavoro da muratore, arrivavo a casa, doccia e poi una canna». E la cocaina? «Solo il fine settimana. No, io gli altri giorni no: avevo paura di perdere il lavoro. Però ero preso nel mezzo: piaceva anche a me consumare, però volevo salvare il lavoro. Ci siamo rovinati quando eravamo ad Altopascio, in lockdown. Con la pensione di lei facevamo gli acquisti». Droga, tanta droga: venerdì e sabato, soprattutto. E i bambini dov’erano? in riferimento ai figli di lei: «Dormivano. O erano alla playstation o giocavano fuori». E Silvia? «È brutto dirlo, ma lei si faceva anche più di me». E il coltello? «Lo tenevo in tasca, sempre, l’ho tirato fuori quando mi ha sputato. Io ero in ansia, dovevamo andare via da quel posto perché eravamo in mezzo alla strada, ci avrebbero controllato». E ancora il coltello: «Ho affondato (il colpo) ma non volevo affondare. Ho visto, ho provato a tamponare l’emorragia, con le mani o con una maglietta, non ricordo. Il coltello? L’ho tirato fuori soltanto dopo lo sputo, sono sicuro: volevo intimorirla. Lo portavo sempre con me, era un regalo: lo so, non si può». Minacce di morte verso di lei? «Mai». Allora Silvia se l’era inventate nella chat con le amiche? «Mai detto che le avrei tagliato la gola. Sì, ci siamo offesi, ce ne siamo detti di cotte e di crude, ma dopo 2-3 ore tornava tutto come prima». Mai minacciata nemmeno la mia ex moglie, dice rispondendo al difensore di parte civile Riccardo Gambi di Lucca. «E non ho mai spacciato». E con quali soldi compravate la droga? «Silvia aveva una bella pensione. E poi abbiamo preso un prestito, anzi due». Pensione da 1.800 euro, prestito da 14mila euro.

E il discorso scivola poi sulla prima canna, a 14-15 anni. E sul consumo, consistente, degli ultimi tempi. È il suo difensore, Tommaso Galletti, a portarcelo. Gli fa raccontare gli abusi, anche quelli di alcol. E di quella volta che, bambino, era finito in ospedale perché non cresceva. Delle difficoltà a scuola («sono stato bocciato in seconda media, facevo casino, passavo con il 6»). Ma perché sfasciò l’auto dei carabinieri che aveva chiamato dopo aver colpito Silvia? «Ero fuori di me, ero incaz…, deluso, mi volevo ammazzare».

Stefanini parla dei genitori, della mamma ammalata, di quando per la casa volavano scope, pentole, bicchieri, chiavi. Ne parla anche la sorella, chiamata a testimoniare: e quando lei ripercorre quegli stessi momenti, Nicola piange in silenzio, si asciuga le lacrime con un fazzoletto di carta.

La Corte di assise aggiorna l’udienza al 12 aprile: in quella sede sarà deciso se verrà accolta la richiesta dell’avvocato Galletti (pm e parti civili contrari) per una perizia psichiatrica che accerti la capacità di intendere e volere, atto conclusivo del processo.

Il presidente Adolfo Di Zenzo ha già detto no, invece, alla testimonianza della ex moglie di Stefanini chiesta dalla parte civile.
 

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