Omicidio nel bosco, l'accusato va in comunità
Gavorrano. La perizia balistica conferma quanto da dichiarato da Mirko Meozzi. La notte della tragedia tra i filari, dove venne trovato morto un giovane di 25 anni, con lui c'era Sonia Santi: la donna è libera ma si aspetta la decisione del riesame.
GAVORRANO. Nella notte tra l’11 e il 12 agosto in un bivacco nascosto tra i boschi di Gavorrano, la vita di Mirko Meozzi, era sprofondata nell’abisso. La discesa era cominciata tempo prima, quando l’uomo aveva iniziato a fare uso di droghe. Per un po’di cocaina e di hashish, quella notte lui e Sonia Santi, erano arrivati ai bacini di San Giovanni per incontrare il giovane spacciatore che era ai margini del bosco con suo cugino, Rahaal Eljamouni. Ma lo scambio, quella notte, non è mai avvenuto: erano stati esplosi invece diversi colpi di pistola calibro 9x21, uno dei quali mortale. Bouazza Jarmouni, 25 anni, era stato trovato morto poche ore dopo dai carabinieri, che vennero indirizzati in quel posto isolato dal cugino del giovane spacciatore. Mirko Meozzi era stato arrestato poche ore dopo, con l’accusa di omicidio, tentato omicidio e porto abusivo della pistola, di proprietà della donna. Alla Santi, il giudice per le indagini preliminari Sergio Compagnucci aveva contestato il concorso anomalo nell’omicidio e anche per lei si erano aperte le porte del carcere di Sollicciano. La donna, difesa dagli avvocati Loredana Giuggioli e Adriano Galli è stata poi scarcerata e ma il sostituto procuratore Anna Pensabene, che ha coordinato le indagini dei carabinieri, aveva presentato ricorso contro questa decisione. Ricorso accolto dalla Cassazione, che ha rinviato il fascicolo al Tribunale del riesame per nuove decisioni in merito alle misure da adottare.
Meozzi, invece, difeso dall’avvocato Roberto Cerboni, era stato trasferito nel carcere di Perugia. Il giudice Compagucci adesso ha accolto l’istanza di modifica della misura proposta dall’avvocato del 45enne di Scarlino: Meozzi andrà in una comunità di recupero nel Pistoiese. Un trasferimento che è stato possibile dopo che l’uomo, accusato di aver sparato e ucciso il venticinquenne, è stato sottoposto al tampone per il Covid-19, risultando negativo.
Intanto, le indagini proseguono per chiarire i punti rimasti ancora oscuri in questa vicenda. Meozzi e Santi erano insieme quella sera, sull’auto della donna. Erano andati ai bacini di San Giovanni per comprare droga ma non avevano soldi. Per questo sarebbe balenata nella testa dei due l’idea di rapinare Bouazza. Eljamouni e la Santi hanno raccontato che a fare fuoco era stato Meozzi: che era in piedi, con la calibro 9 tra le mani quando sono partiti i colpi. La perizia balistica disposta dalla Procura, invece, sarebbe compatibile con il racconto del quarantacinquenne che ha sempre sostenuto di non essere mai sceso dall’auto. Il proiettile infatti sarebbe stato sparato da dentro l’abitacolo dell’auto della donna, e avrebbe colpito Bouazza all’inguine. Un dettaglio, questo, che confermerebbe che lo scarlinese non aveva mirato per uccidere. Non aveva tentato di centrare alcun organo vitale.
Bouazza però era morto ai margini del bosco dove da qualche tempo spacciava: i carabinieri avevano trovato poco lontano un bivacco, dove il giovane nordafricano incontrava i suoi clienti.
Meozzi ha spiegato più volte che quando si era trovato la pistola tra le mani aveva solo cercato di intimorire il giovane: il colpo che aveva poi ucciso Jarmouni sarebbe partito inavvertitamente, gli altri li avrebbe sparati Sonia Santi. Versioni divergenti, quelle raccontate dai tre testimoni, che hanno visto il venticinquenne cadere a terra in una pozza di sangue. Versioni che sono ancora sotto la lente della Procura che ancora non ha chiuso le indagini sull’omicidio, aspettando che tutti i tasselli vadano al loro posto.