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Firenze, Landini riempie il Mandela Forum: “Il 12 dicembre tutta l’Italia in piazza contro una manovra ingiusta”

di Mario Neri
Firenze, Landini riempie il Mandela Forum: “Il 12 dicembre tutta l’Italia in piazza contro una manovra ingiusta”

Folla da concerto per l’assemblea nazionale della Cgil. Landini lancia lo sciopero generale del 12 dicembre: “Aumentare i salari, investire in sanità e scuola, non in armi. La maggioranza del Paese vuole essere ascoltata”

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FIRENZE È Firenze, ed è il Mandela Forum pieno come per un concerto di Achille Lauro. Ma sul palco, stavolta, non ci sono luci stroboscopiche né batterie elettroniche: c’è Maurizio Landini, giacca blu, cravatta rossa, voce squillante da officina e la postura del caporeparto che spiega ai colleghi perché non si può più aspettare. Davanti a lui, migliaia di delegati della Cgil venuti da ogni parte d’Italia per la “maxi assemblea” contro la manovra del governo Meloni. Una folla che applaude, fischia, si scalda, come in un rito civile più che in una liturgia sindacale.

Il sindacato ha scelto Firenze per lanciare la sfida: qui, dove la storia del lavoro e quella della politica si sono spesso incrociate, parte la campagna per lo sciopero generale del 12 dicembre. «Dimostriamo che la maggioranza del Paese vuol essere ascoltata», dice Landini dal microfono, come se parlasse direttamente ai lavoratori che domani torneranno in fabbrica, negli ospedali, negli uffici. «Ci rivolgiamo a tutte le persone, perché il 12 dicembre siano con noi in piazza».

Da qui, nel palazzetto intitolato a Nelson Mandela, l’uomo che fece della giustizia sociale una ragione di libertà, Landini prova a restituire alla parola “lavoro” un senso collettivo e politico. Perché – dice – «questa manovra è ingiusta, sbagliata e la vogliamo cambiare». Sul palco, dietro di lui, la scritta: “Democrazia al lavoro”. Davanti, un mare di cartellini con il logo del sindacato, visi attenti, mani pronte ad applaudire. È una mattina di novembre e il sindacato ha scelto Firenze per lanciare la sfida: contro la manovra economica del governo e per uno sciopero generale che torni a mettere il lavoro al centro. «Il 12 dicembre manifestazioni in tutta Italia», scandisce Landini, alzando il tono. «Vogliamo dimostrare che la maggioranza del Paese vuole essere ascoltata».

Il suo discorso è costruito come una requisitoria e come una chiamata. «Questa manovra è ingiusta, sbagliata, e la vogliamo cambiare», dice. Poi affonda: «L’emergenza vera è il salario». Parla di milioni di lavoratori che, pur lavorando, restano poveri. Chiede «risorse aggiuntive» per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego, «non mancette», e una detassazione estesa «a tutti, senza tetti di reddito». «Restituite il fiscal drag – incalza – perché in tre anni lavoratori e pensionati hanno pagato 25 miliardi in più solo per l’inflazione».

Ogni passaggio accende un applauso. Quando cita la sanità, uno dei boati più lunghi: «Sei milioni di persone non riescono a curarsi, le liste d’attesa non finiscono più, medici e infermieri lavorano allo stremo». Poi la scuola, «perché il sapere è un diritto, non una spesa», e la legge sulla non autosufficienza, «che non può restare una promessa». Landini non si ferma al bilancio, allarga l’orizzonte. «Non c’è un euro per rilanciare gli investimenti pubblici, e l’unica spesa che cresce è quella per le armi», denuncia. «Nei prossimi dieci anni rischiamo di investire novecento miliardi in armamenti. È follia. La pace e la sicurezza non si costruiscono riarmando le persone, ma con la giustizia sociale, con il lavoro, con i giovani che restano nel loro Paese».

Il pubblico applaude in piedi. Dal parterre fino alle gradinate rosse illuminate dai riflettori, la platea vibra. Il sindacato torna a occupare lo spazio politico e simbolico della protesta. Qualcuno, dai vertici del governo, ha ironizzato sullo sciopero convocato di venerdì. Landini replica, con il tono di chi non intende arretrare: «Se vogliono che lo sciopero non ci sia, cambino loro la manovra». Poi si fa più personale, quasi paterno: «Chi nella vita uno sciopero non l’ha mai fatto, forse non capisce cosa c’è dietro. Chi sciopera rinuncia a una giornata di stipendio. Lo fa per cambiare la propria condizione e quella del Paese».

Sul palco sfilano anche gli interventi istituzionali. La sindaca di Firenze, Sara Funaro, richiama l’articolo 1 della Costituzione: «Non c’è democrazia senza giustizia sociale». Il presidente della Regione, Eugenio Giani, parla di «risposta di basso livello» del governo. Il professor Tomaso Montanari, citando i testi di Mussolini e Meloni, s’è accorto che non c’è molta differenza:  «Nei suoi libri Giorgia Meloni dice che il mondo del lavoro dipendente ha il difetto di essere, cito le sue parole, fortemente sindacalizzato», con una «dinamica conflittuale voluta da una certa dialettica marxista sindacalizzata», e dunque, sottolinea Montanari, «non conflitto sociale, ma coordinazione, diceva Mussolini. Non dialettica sindacalizzata, ma condivisione, dice Meloni. Capitale e lavoro sono sullo stesso piano, ha scritto Giorgia Meloni. Anche Mussolini lo ha scritto».

Il rettore dell’Università di stranieri di Siena non è solo un prof sul palco ma un progetto politico, una bandiera. Da mesi è la voce e il volto tv della sinistra pro Palestina. Così, quando l’Italia è scesa in piazza per Gaza «Giorgia Meloni ha parlato di sciopero pretestuoso, di weekend lungo, di clima d'odio. Non ci stupisce questo tono, è il marchio della casa a cui appartiene. Ma non ci stupisce nemmeno il contenuto che appartiene a un disegno coerente e a una lunga tradizione». Secondo il professore fiorentino «il continuo attacco al sindacato e al diritto di sciopero va preso non come uno sfogo, ma come un progetto lucido», «del resto l'assalto fascista alla sede della Cgil, il 9 ottobre 2021, lo aveva reso chiaro: tutto questo fa parte di un unico progetto eversivo, distruggere la Repubblica democratica».

Dal fondo del palazzetto arrivano cori, bandiere, un selfie dopo l’altro. C’è un clima da assemblea e da concerto insieme, una vitalità che non è nostalgia ma rivendicazione. In platea si vedono volti giovani, delegati di fabbrica, insegnanti, impiegati, pensionati: la base di un Paese che si riconosce in quelle parole.

Fuori, Firenze continua a scorrere: tram pieni, bar del centro, traffico all’uscita di viale Fanti. Ma dentro, tra le luci calde e le voci che rimbalzano tra le gradinate, si ha la sensazione che il sindacato abbia rimesso in moto qualcosa. Non solo uno sciopero, ma un sentimento collettivo: la voglia di contare. «Il 12 dicembre – promette Landini – il Paese del lavoro tornerà in piazza». E per un momento, al Mandela, sembra che quella piazza sia già tutta lì.

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