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I tre mesi del ponte che sparirà, traffico: Firenze si prepara all’assedio – Quando sarà demolito e le promesse del Comune

di Mario Neri

	Ponte al Pino a Firenze
Ponte al Pino a Firenze

Demolizione e rinascita di Ponte al Pino, nuova prova cittadina per la viabilità

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FIRENZE. Dopo l’estate degli ingorghi eterni, delle vene urbane strozzate dall’imbuto del Ponte all’Indiano, quella dei dannati della Bolognese e dei rallentamenti a singhiozzo causa cantieri della tramvia, arriva un nuovo capitolo della saga fiorentina del traffico: il Ponte al Pino va giù. Letteralmente. Verrà demolito e ricostruito da capo, in un’operazione chirurgica che durerà tre mesi e che cambierà, ancora una volta, la geografia quotidiana di chi attraversa la città.

Il vecchio ponte, nato a fine Ottocento e oggi accartocciato tra le corsie di viale dei Mille e i binari di Campo di Marte, è arrivato al capolinea. Rete Ferroviaria Italiana ne firmerà la sostituzione: una nuova struttura in acciaio e calcestruzzo, più larga, più leggera, più sicura, pronta entro settembre 2026. Ma prima, nell’estate che verrà, servirà la fase più traumatica: cento giorni di chiusura totale («indicativamente» ha scritto Palazzo Vecchio giorni fa e ci tremano tuttora i polsi). Il ponte sarà rimosso pezzo dopo pezzo e al suo posto, tra giugno e settembre, una gru da 2.000 tonnellate calerà il nuovo impalcato, come un gigantesco gesto di fede ingegneristica nel cuore di Firenze.

Chi conosce quel tratto sa che non è un punto qualsiasi. È la sutura tra il centro e Campo di Marte, un nervo scoperto della mobilità fiorentina. Chiuderlo significa toccare una delle arterie vitali della città, quella che ogni mattina vede scorrere un fiume di auto, motorini, bus e pazienza. Sarà un’estate di deviazioni e mappe alternative, con le viuzze laterali a farsi carico del traffico che scappa dal cantiere, e con l’eco dei clacson che tornerà a farsi colonna sonora diurna.

L’assessore alla mobilità Andrea Giorgio lo sa, e infatti ha messo le mani avanti: «Abbiamo chiesto e ottenuto che i tempi di chiusura si riducessero da nove a tre mesi, concentrati d’estate, quando la città rallenta». Una promessa di accorciare l’agonia, insomma. Il Comune ha trattato con Rfi anche un pacchetto di compensazioni: 1,3 milioni di euro per asfaltature, rifacimenti, la riqualificazione di piazza Vasari e cento nuovi alberi da piantare in giro per Firenze.

Un tentativo di bilanciare la fatica con qualche segno di rinascita. Già nei prossimi giorni i lavori inizieranno con lo spostamento dei sottoservizi e il taglio di alcune piante. Il pino storico, quello che dà nome al ponte, resterà al suo posto, quasi come un guardiano di questa metamorfosi urbana. Sarà invece realizzata una passerella pedonale provvisoria, lunga 44 metri, per consentire ai cittadini di attraversare l’area durante i mesi di cantiere. E lì, tra il clangore dei martelli e l’odore di ferro, la vita quotidiana continuerà a scorrere: studenti in bicicletta, nonni con la spesa, autobus che girano più lunghi ma sempre pieni. Il nuovo ponte non sarà solo un’opera tecnica. Avrà una pista ciclopedonale, corsie senza limitazioni di peso e materiali sostenibili: acciaio e Corten, pensati per durare e invecchiare bene. Rfi lo descrive come un piccolo manifesto d’ingegneria contemporanea, compatibile con le esigenze ferroviarie e urbane. Ma la domanda che rimbalza nei bar e sui social è un’altra: quanto si fermerà Firenze questa volta?

Il Comune promette un piano dettagliato di viabilità alternativa e una campagna informativa per orientare i cittadini, bus potenziati e sensi unici. Ma per i fiorentini, abituati da anni a vivere dentro un labirinto di transenne e betoniere, ogni promessa ha il sapore del “vedremo”. Le transenne sono diventate il loro orizzonte. In certi giorni sembra che la città viva dentro un esperimento sociale: quante deviazioni può sopportare una comunità prima di perdere la calma?

Eppure, Firenze continua a funzionare. Con la pazienza dei suoi automobilisti, che conoscono ormai ogni varco e ogni corsia segreta. Con la rassegnazione ironica di chi, nel traffico, trova il tempo di guardare i tetti rossi o una nuova buca che si apre accanto ai binari della tramvia. Forse è proprio questa la lezione sotterranea del Ponte al Pino: che la città cambia, si aggiusta, si ricostruisce, ma resta fragile e bellissima anche nel suo continuo sforzo di muoversi.

Quando (tra un anno?) il nuovo ponte verrà inaugurato, nessuno si ricorderà più dei tre mesi di code e dei cartelli gialli. Ma fino ad allora Firenze dovrà convivere con un’altra estate di lavori, deviazioni e polvere, e con quella sensazione tutta fiorentina di vivere in un cantiere perenne, dove il futuro arriva in ritardo ma almeno arriva.

 

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