Il Tirreno

Firenze

Viabilità

Firenze, Piazzale Donatello diventa un labirinto di cantieri: scatta il piano “Viali liberi” contro il caos. Ma gli automobilisti rischiano di restare “prigionieri”

di Mario Neri
Firenze, Piazzale Donatello diventa un labirinto di cantieri: scatta il piano “Viali liberi” contro il caos. Ma gli automobilisti rischiano di restare “prigionieri”

Da stasera parte una nuova fase dei lavori: per 15 mesi la città si prepara a convivere con transenne, code e corsie alternate: il maxi cantiere della tramvia per Bagno a Ripoli va avanti. Il Comune promette più verde e ciclabili entro il 2026, ma intanto i fiorentini stringono i denti

4 MINUTI DI LETTURA





FIRENZE C’è sempre un momento, in una città, in cui l’ordine urbano viene sospeso, e al suo posto cala una sorta di interregno fatto di transenne, birilli arancioni, cartelli provvisori che smentiscono quelli definitivi. Firenze ci è dentro da mesi, e non sembra volerne uscire. Dopo l’estate della Bolognese chiusa, del ponte all’Indiano dimezzato, delle betoniere sparse come funghi fra i viali, ecco l’autunno dei cantieri. Da stasera alle 21 piazzale Donatello diventerà un anello cinto di lamiere, un cuore pulsante ma ingessato della città, dove per un anno e tre mesi il traffico sarà costretto a un pellegrinaggio penitenziale. Lì, davanti al cimitero degli Inglesi, Firenze scoprirà la sua nuova condizione: la convivenza con un’opera pubblica lunga, invadente, necessaria. I binari, ci dicono, si sdoppieranno intorno al monumento, inerbiti e addolciti dal verde.

Un’operazione di chirurgia urbana che nelle intenzioni promette perfino abbellimenti: un’area verde ampliata, percorsi pedonali riorganizzati, controviali lucidati con pietra, ciclabili nuove di zecca, parcheggi riallineati. Ma intanto, mentre si scavano sottoservizi, mentre si deviano acquedotti, mentre si rifanno aiuole, la città dovrà imparare ancora una volta a espiare con code, deviazioni, rallentamenti. Il Comune, consapevole della prova di resistenza, ha scelto un titolo da romanzo distopico per il suo piano emergenziale: "Viali liberi". È il tentativo di convincere i cittadini che un traffico senza ingorghi è possibile anche durante il piccolo Armageddon della mobilità. Più vigili sulle strade, telecamere aggiuntive, la Smart City Control Room come divinità curatrice e demiurga, segnaletica aggiornata quasi in tempo reale. La promessa è chiara: la città non sarà lasciata a se stessa. Ma l’ironia dello slogan è evidente, e perfino chi lo ha coniato deve aver sorriso: liberi i viali, ma prigionieri gli automobilisti. Il dettaglio tecnico, poi, ha un suo ritmo da cantilena: sei fasi, sessanta settimane, corsie che si aprono e si richiudono, soste che scompaiono e riappaiono.

Prima il lato ferrovia, poi il lato centro, poi di nuovo l’anello centrale. Ogni tratto della carreggiata avrà il suo turno di cantierizzazione, come se fosse un rito iniziatico per chi guida: sette settimane qui, dieci là, diciotto nel cuore della piazza. E sempre la rassicurazione: due corsie per senso di marcia resteranno garantite. Una promessa che i fiorentini hanno imparato a tradurre così: file più lunghe, ma file ordinate. Intanto, mentre Donatello si accinge a diventare un laboratorio di convivenza civile, altrove la città non dorme. In viale Giannotti, per esempio, il cantiere già attivo traslocherà di qualche metro, spostandosi lato Arno. Anche lì corsie alternate, carreggiata riasfaltata provvisoriamente, senso di marcia garantito. Firenze sembra ormai una tavola di Monopoli in cui ogni casella è un lavoro in corso: paghi pegno, aspetti, devii.

Eppure, nonostante tutto, c’è una scadenza che consola. Palazzo Vecchio giura che entro il 2026 Sirio correrà su questa nuova direttrice fino a Bagno a Ripoli. Quello che oggi è disordine, lamento, insofferenza, diventerà domani comodità, sostenibilità, velocità. È il patto implicito che regge l’intera impalcatura politica e urbanistica: soffrire oggi per godere domani. La città, da parte sua, osserva con un misto di fatalismo e ironia: Firenze conosce bene le epiche incompiute, le promesse lunghe come i cantieri stessi. Ma stavolta - assicurano i tecnici e i politici - l’opera arriverà in fondo. I binari scorreranno, la ciclabile brillerà, i controviali saranno di nuovo percorribili.

Piazzale Donatello, oggi cinto da lamiere e camion, tornerà a essere piazza, non solo nodo stradale. Ci vorrà pazienza, disciplina, la capacità di resistere all’idea che il caos sia perenne. Perché, in fondo, il cantiere è una metafora di questa città: lenta, testarda, ma capace di reinventarsi. E così, in questo agosto che sa già di settembre, mentre l’Indiano ha finalmente riaperto e la Bolognese si appresta a farlo (20 agosto, remember?), i fiorentini sono di nuovo chiamati a stringere i denti. Piazzale Donatello è solo l’ennesimo capitolo di una storia più lunga, quella della tramvia che ridisegna la mappa della mobilità. Una saga che ogni automobilista vive in prima persona, tra clacson e semafori, ma che un giorno - se davvero il 2026 sarà l’anno buono - potrà raccontare ai nipoti così: «Io c’ero, quando Firenze era tutta un cantiere».

Primo piano

Effetti del maltempo

59 millimetri d’acqua in 75 minuti: all’Elba è il terzo nubifragio in soli sei mesi. Il racconto di una notte di paura e allerta

di Luca Centini
Estate