Riapre via Bolognese con venti giorni d’anticipo. Firenze respira (come se avesse finito una penitenza)
E la prossima settimana, in due giorni diversi, tornerà alla normalità anche il ponte all’Indiano. Quando una città sa mantenere una promessa
FIRENZE C’è una certa grazia nell’inaspettato. E così, con qualche giorno d’anticipo sul destino, riapre via Bolognese. E potremo attraversare su due corsie il ponte all’Indiano. Lo si scrive con una certa emozione, un filo d’enfasi e quel tono liberatorio che di solito si riserva ai ritorni dei prigionieri o alle guarigioni inattese. Dopo settimane di cantieri, l’arteria collinare che collega il Mugello a Firenze torna percorribile. Non il 10 settembre, come da programma, ma il 20 agosto, venti giorni prima. Succede anche questo, a volte, in una città che ci ha educati più all’attesa che alla speranza, costretti alla rassegnazione, al traffico come esperimento sociale di vivere urbano, alla rabbia al volante come forma di espiazione collettiva.
Dunque riapre la Bolognese, la strada che non è solo strada ma epopea quotidiana per pendolari, residenti, autisti in apnea, e genitori con bambini da portare a scuola, a denti stretti, in mezzo al traffico. Era diventata un tappo, una chiusa, una ferita. O meglio: era il sintomo di qualcosa di più vasto, di più sistemico. Firenze – da mesi – non è una città, ma una mappa di lavori, transenne, un concerto di betoniere, una danza di semafori provvisori, una dissertazione esistenziale sull’asfalto.
Eppure. La notizia della riapertura è concreta. È tecnica. È politica. È civile, perdiana, tuonerebbe Oriana. È anche simbolica, perché significa che qualcosa si può fare, che qualcosa può finire prima del previsto, che l’efficienza esiste anche al di qua della teoria. Merito – dicono – dell’assessore Andrea Giorgio, che ha imposto a Publiacqua turni notturni e doppi. Hanno lavorato, finalmente, "come se fosse una città vera", direbbe il mugugnatore fiorentino di professione, categoria antropologica vasta.
«È raro che un cantiere così importante finisca in anticipo», dice l’assessore Giorgio, «ma avevamo promesso massimo impegno e ce l’abbiamo messa tutta: la Bolognese riaprirà con 20 giorni di anticipo, una buona notizia per i residenti e per i pendolari del Mugello. Si conclude la sostituzione completa dell’acquedotto in una strada fondamentale per la città metropolitana, dove negli ultimi anni si erano moltiplicati gli interventi di urgenza per rotture. Adesso avremo sottoservizi moderni, meno disagi e una strada riasfaltata».
Il presidente di Publiacqua, Nicola Perini, ammette: «Siamo consapevoli dei disagi causati ma abbiamo portato a termine un’opera complessa e indispensabile». E lo è stata. Per settimane il traffico si era incanalato altrove: sulla via Faentina, che si era ritrovata a reggere tutto il peso di pendolari e navette, di bus alternativi e automobilisti spersi, mentre la linea ferroviaria (pure quella) è interrotta da pochi giorni per altri lavori – ça va sans dire, finanziati col Pnrr, la nuova divinità vendicativa della contemporaneità.
Certo, il contesto non aiuta a festeggiare troppo. Per una via che si apre, ce ne sono altre che si chiudono. E così, mentre la Bolognese torna a battere, si “ribalta” il cantiere in viale Matteotti. Muta, si sposta, salta da un lato all’altro il cantiere per la nuova linea tranviaria verso Bagno a Ripoli: nuove strettoie, carreggiate risicate, l'ennesima promessa di due corsie per senso di marcia che ci si augura non si trasformino in due code per senso di rassegnazione. In viale Giannotti si prepara una strettoia, ma martedì pure il ponte all’Indiano in direzione aeroporto tornerà alla normalità anch’esso, e il 14 agosto verso Scandicci, come se fosse un piccolo miracolo burocratico.
Tuttavia, queste riaperture non sono solo un fatto di viabilità. Sono anche – e soprattutto – un momento di verità per la città. Firenze è diventata un laboratorio urbanistico, un reality show stradale in cui l’unico premio è arrivare a casa con meno di mezz’ora di ritardo. Abbiamo assistito a un’estate fatta di divieti e deviazioni, con cartelli che sembravano oracoli, e rotatorie più filosofiche che funzionali.
Eppure, in questo panorama da Giochi senza frontiere dell’asfalto, qualcosa s'è mosso. Qualcosa è tornato. E non è poco. Riapre via Bolognese. Riapre un’idea di normalità. Perché – parafrasando un vecchio detto – quando la strada è libera, anche il cuore va più veloce.