Il Tirreno

Firenze

Dal passato la lezione delle coop agricole

Servono nuovi ingranaggi sociali del lavoro per migranti e percettori di reddito

04 dicembre 2022
3 MINUTI DI LETTURA





Ho nella testa e nel cuore la frana di Casamicciola, a Ischia. Non riesco a non pensarci. L’impegno istituzionale in Regione mi fece vivere da vicino il disastro franoso del luglio 1996 in Garfagnana. Non ho mai dimenticato le vittime, la disperazione di allora. Adesso abbandono e incuria a monte, responsabilità e avidità edificatorie a valle. Oggi, come altre volte, sono tanti i casi nella nostra bella e fragile penisola: case distrutte, fango e melma che avanzano e, soprattutto, morti e dispersi. Ancora un nuovo disastro drammaticamente annunciato, prevedibile ed evitabile. Lo sappiamo bene.

Non è stata una fatalità, non si è trattato di un terremoto, bensì di un evento provocato da edificazioni scoordinate e abusive; da relazioni idrogeologiche e piani urbanistici spesso assenti, non rispettati o, peggio, di condoni. Anche la gestione dei terreni è oramai inesistente. Mi riferisco alle aree, regolate originariamente dai terrazzamenti, dall’agricoltura e dalla manutenzione dei boschi, che ora sono praticamente abbandonati. Così l’acqua, quando arriva in grande abbondanza in uno spazio di tempo limitato, diviene deflagrante. Le pericolosissime bombe idriche, appunto. Oggi Ischia, ieri Pesaro, Urbino, Catania e molte altre negli anni precedenti. E il pensiero non può che tornare a quanto successe in Toscana. Nella nostra regione non esistono fenomeni di abusivismi eclatanti e colonizzazioni intensive dell’uomo che abbiano messo in crisi aree del nostro territorio e, anzi, soprattutto nelle montagne, accade il fenomeno opposto. Dal punto di vista ambientale si può e si deve fare molto di più: nei piani urbanistici e di sviluppo rurale, nella manutenzione e nella cura dei terrazzamenti, nella riforestazione dei boschi, come nei sistemi di drenaggio e canalizzazione delle acque.

Il Governo, per esempio, dovrebbe incentivare e trovare ingranaggi sociali ed economici del lavoro che consentano ai beneficiari dei redditi di cittadinanza, a migranti che stazionano nei centri di accoglienza e ai giovani disoccupati, la possibilità di operare nelle montagne come in altre attività e opere di protezione civile e di interesse pubblico. Ricordo nel 1977 la legge 285 sulla disoccupazione giovanile. Favorì la nascita di cooperative e attività agricole e forestali, consentendo a tantissimi giovani di formarsi e svolgere la loro prima attività in opere e servizi di riqualificazione dei territori agricoli e montani. Pur con i dovuti limiti, fu un’esperienza interessante.

Perché non riprovarci? Certo, con adeguata retribuzione, formazione e sicurezza. So bene che non è facile, ma ne varrebbe la pena. Forse ci ritroveremmo più occupati e anche più realmente occupabili. Al contempo ne guadagnerebbe sicurezza e vivibilità del nostro territorio. Se qualcuno vi chiedesse dove troviamo i soldi per finanziare tutto questo, potreste rispondergli di controllare quanti ne troviamo per intervenire sulle calamità e le emergenze, per ricostruire, a volte anche male, ciò che dovremmo proteggere.

Primo piano
Venti di guerra

Da Camp Darby all’Est Europa inviati oltre 400 mezzi militari: andranno a potenziare l’esercito Usa