EMPOLI. Cristina Preti (figlia di Gino, giornalista noto, morto anni fa), da qualche tempo a questa parte, coltiva due passioni: il bel canto e la scrittura. Quest'ultima l'ha portata a pubblicare, con Eclissi editrice, il romanzo "La donna che morì bevendo un caffè" (pagg. 284, euro 15), dedicato al padre "che amava scrivere". Al centro della storia, ben scritta, è Orso, un giovane che non si accontenta delle apparenze, che vuol sapere, costi quel che costi. Ecco un passo. (...) Con chi potevo parlare di tutta quella strana vicenda? Non con mio padre, ma nemmeno con Chiara. Figuriamoci, una questione poco limpida che riguardava mia madre... Non avrebbe perso occasione per attaccare la solita solfa su quanto fosse stata falsa e piccolo borghese, gretta e conformista. Mia sorella era sempre stata una ribelle e aveva avuto fin da bambina un carattere anarchico. Quando, intorno ai quattordici anni, aveva iniziato a contestare con violenza i nostri genitori, e soprattutto la mamma, nessuno si era stupito più di tanto; con quelle premesse, era il minimo che potesse capitare. Io, a quell'epoca, ero già grande e avevo ormai superato la mia fase adolescenziale e contestataria. Dato il mio carattere, si era trattato di contrasti piuttosto blandi: mi ero accontentato di qualche innocente disobbedienza, tornando ben presto a fare il bravo ragazzo. Di fronte all'urto rabbioso della protesta di mia sorella mi ero subito schierato dalla parte dei miei genitori. Mi ero accorto, però, che così facendo avrei perso ogni contatto con Chiara, e che lei si sarebbe trovata a vivere in un mondo tutto suo, abitato soltanto dalle sue rabbie, dalle sue proteste e dalle sue trasgressioni, in cui io non avrei avuto alcun ruolo. Le volevo troppo bene per perderla: preferii rinunciare alle critiche, sospesi ogni giudizio nei suoi confronti e decisi di accettarla com'era, pur approvando ben poco di quel che pensava, diceva o faceva. Sopportai così, senza battere ciglio, quegli anni terribili in cui bastava che Chiara e mia madre si incrociassero nel corridoio perché scoppiasse una lite violenta; in cui ogni volta che Chiara usciva aspettavo che rincasasse, fosse pure alle cinque del mattino, per controllare che fosse tutta intera; in cui mi capitava di andarla a cercare in certi vicoli del centro o in piazza, dove stava ore a bere birra e a fumare con strani amici dalle facce poco raccomandabili, per dirle che mamma quella sera avrebbe sprangato la porta per non farla rincasare, ma che bastava mi facesse un fischio e io sarei andato ad aprirle il terrazzino sul retro (...).