Cecina, violentata in auto: chi è l'insegnante di 36 anni condannato e le motivazioni
Due anni di reclusione per il docente originario della provincia di Lucca, che ha fatto appello: la ricostruzione dei fatti attraverso la sentenza
CECINA. «Sul corpo aveva segni evidenti delle gravi percosse patite e dal momento in cui fu soccorsa ha riferito, in modo coerente e costante, di essere stata percossa e toccata dall’imputato». Avrebbe dato un passaggio in auto a una conoscente in quel momento ubriaca fuori dal Grancafè di Marina di Cecina, baciandola poco dopo averci scambiato qualche battuta sull’abitacolo, tentando un approccio sessuale sotto casa di lei e – dopo il rifiuto della giovane, una ventiduenne di Cecina – l’avrebbe portata 300 metri lontano dall’abitazione per picchiarla, sferrandole un pugno talmente forte da farle saltare gli occhiali da vista, lasciarla per strada e fuggire in auto. Il trentaseienne Stefano Martini – insegnante originario della Garfagnana – è stato condannato a due anni di reclusione per violenza sessuale, con la sospensione della pena subordinata al superamento di un programma di recupero.
Il processo
Nei mesi scorsi, dopo la pronuncia, il collegio del tribunale di Livorno presieduto dal giudice Gianfranco Petralia ha depositato le motivazioni della sentenza nei confronti del professore, con la vittima – cecinese, che oggi ha 27 anni, parte civile assistita dall’avvocato Emiliano Porri – che beneficerà del pagamento delle spese processuali e di un risarcimento provvisorio di cinquemila euro. I fatti contestati sarebbero avvenuti il 5 settembre del 2020, all’incirca fra le 2,30 e le 3 di notte, mentre l’imputato (ora condannato in primo grado) si trovava in vacanza sulla Costa degli etruschi, luogo che da tempo già frequentava. Per l’insegnante la pm Antonella Tenerani, al termine della requisitoria, aveva chiesto l’assoluzione. In fase di indagini preliminari, per altro, sempre la procura chiese l’archiviazione, poi respinta dal giudice per le indagini preliminari dopo che il legale cecinese aveva chiesto a palazzo di giustizia (con successo) che la vittima potesse essere ascoltata. Tenerani, nelle sue conclusioni, si era concentrata sui buchi orari di quanto accaduto a suo parere mal ricostruiti prima nella querela, poi dalle testimonianze raccolte durante il dibattimento, convincendosi che il trentacinquenne dovesse essere assolto.
L’incontro
La giovane e Martini si conoscevano solo di vista, avendo avuto amici in comune. Lui, nella fattispecie, era in buoni rapporti col suo ex fidanzato. Quella sera, mentre lei era uscita in bici dopo il lavoro per andare a bere qualcosa da sola al Grancafè, nel locale lo aveva riconosciuto e salutato di sfuggita. Poi lui l’ha contattata su Messenger, via Facebook quindi, chiedendole come stesse: «Come stai, va tutto bene?». «Mi gira la testa da morire, non so come fare. Sono ad una panchina vicino al Grancafè». Quindi si incontrano. Lei le chiede un passaggio verso casa, perché è ubriaca e non è in condizioni di tornare in bici.
La ricostruzione
«La giovane – si legge nella sentenza – sale sull’auto e i due iniziano a parlare della serata appena trascorsa. A un certo punto l’imputato le si avvicina di scatto e la bacia sulle labbra. La ragazza, inizialmente sorpresa, si tira indietro con la testa e dice che non era il caso, spiegando all’uomo che non lo conosceva e non era sua abitudine procedere così. Lui insiste nel chiederle spiegazioni, dicendole che non c’era niente di male. I due partono poi verso l’abitazione della donna. Lì Martini parcheggia davanti al portone accostando e, senza proferire parola, tenta nuovamente di baciarla in modo più deciso. Cerca anche di palpeggiarla, infilandole la mano sotto la maglietta per toccarle il seno. Lei continua a dirle di smettere, dicendogli ripetutamente di no e allontanandogli le mani dalle zone intime. Lui riesce comunque a baciarla sulla bocca e le palpa il seno e le parti intime, cercando anche di infilare la mano dentro i pantaloni. A questo punto lei si spaventa, l’imputato scende dall’auto, dà una botta alla carrozzeria, prende il cellulare e senza che lo schermo nemmeno si accenda inizia a parlare dicendo di trovarsi in caserma e che c’è una ragazza che sta gridando».
In questo momento siamo sotto l’appartamento della ventisettenne, che vive con i genitori. «A questo punto il padre ragazza, da casa, sente le grida della figlia – scrivono ancora i giudici – e si affaccia alla finestra della camera da letto, aperta stante il clima estivo, mentre la madre urla: “Ma cosa è successo?”. A questo punto il babbo inizia a scendere le scale (evidentemente nell’intento di verificare l’accaduto) ma l’imputato, avendo compreso quanto stava accadendo, sale nuovamente in macchina e riparte, portando con sé la ragazza, immobile al suo posto. La vittima ha chiarito che, in quel momento, si era come pietrificata dalla paura e non riusciva a reagire: non aveva pensato di uscire dall’auto perché temeva che, se l’avesse fatto, l’imputato – in quel momento molto nervoso – avrebbe potuto fare del male al padre. Martini dunque riparte ad alta velocità, arrivando a 300 metri di distanza, mentre la donna continua a gridare e non può neppure cercare di scendere a causa della velocità. A questo punto il giovane inizia a percuoterla, sferrandole pugni al volto (tanto da farle volare via gli occhiali) e calci, poi le slaccia la cintura e la getta fuori dall’auto, chiudendo lo sportello. La ragazza riapre subito riapre subito la portiera e gli urla che aveva in macchina la sua borsa con tutte le sue cose e che lei aveva perso gli occhiali e non ci vedeva: lui allora le butta la borsa fuori dall’abitacolo, ma non le restituisce gli occhiali (che non troverà più)».
I soccorsi
In questo frangente la donna, chiamando il padre al cellulare, dà l’allarme. Venendo subito soccorsa dai volontari della Pubblica assistenza di Cecina e portata in ospedale. «Dal referto – scrive il giudice – emerge che la ragazza aveva segni di strangolamento sul collo e graffi sul petto, oltre a un episodio di epistassi, trauma del ginocchio sinistro e del gluteo destro, nonché tumefazione del volto ed escoriazioni alle labbra: fu dimessa con una prognosi di sette giorni».
«Racconto credibile»
Secondo il tribunale, a differenza di quanto ritenuto dalla procura, il racconto della vittima è credibile: «La versione dei fatti della parte offesa – si legge – è stata da subito chiara nei suoi elementi essenziali e da lei confermata a più riprese: la giovane, infatti, ha subito riferito di essere stata percossa e toccata da un tale Stefano, che ha riconosciuto su Facebook. Alcuni profili di incertezza nel ricordare i dettagli della vicenda (con conseguenti incongruenze tra quanto esposto nella querela e quanto riferito in dibattimento) appaiono facilmente spiegabili ove si consideri che la ragazza ha sporto querela orale il giorno stesso dei fatti, alle 10,47, dopo che era stata dimessa dall’ospedale alle 6,23. La denuncia, dunque, è stata formalizzata quando la giovane era ancora scossa per l’accaduto e per la nottata insonne appena trascorsa, e poteva non ricordare con esattezza alcuni particolari. Del resto, poi, in sede dibattimentale ha confermato quanto riferito in querela, precisando soltanto alcuni aspetti tutto sommato marginali: il primo bacio dell’imputato, datole quando ancora erano al Grancafè, la colse di sorpresa; ai palpeggiamenti delle parti intime, tuttavia, la teste ha chiarito (già in querela e poi di nuovo a dibattimento) di essersi sottratta, tirandogli le mani fuori dai vestiti e dicendogli no, senza tuttavia riuscire a farlo desistere giacché l’uomo continuava a toccarla, sopra e sotto i vestiti, nonostante la ragazza gli dicesse di non conoscerlo a sufficienza per voler continuare. La teste ha poi ben chiarito le ragioni per cui, pur trovandosi sotto il portone della propria abitazione, non scese dall’auto, precisando di essersi trovata bloccata e paralizzata; ha aggiunto che questo tipo di reazione (nota anche come “freezing”) è per lei usuale. In quell’occasione riuscì a dirgli di no e anche a sferrare un pugno sul cruscotto, esasperata dal disinteresse dell’imputato per i suoi ripetuti no. Non riuscì invece a scendere dalla macchina e quando comprese che suo padre stava scendendo di casa temette anche che il Martini, in quel momento assai arrabbiato, potesse aggredirlo».
Doppio ricorso
Nel novembre del 2022 c’era già stata una prima sentenza, da parte del giudice di pace cecinese, sul reato di lesioni personali, del quale il trentaseienne era accusato (il filone, dopo la richiesta di archiviazione della violenza sessuale, era stato stralciato e per questo assegnato all’ufficio cecinese, competente per reati minori) con una condanna a 21 giorni di detenzione domiciliare e al pagamento, oltre che delle spese processuali, di 3.000 euro di provvisionale. Una sentenza confermata in appello, nel luglio scorso dalla giudice Tiziana Pasquali, ora pendente in Cassazione. Mentre sulla pronuncia di primo grado per la violenza sessuale c’è stato ricorso in appello e l’udienza deve ancora essere fissata.
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